Condono edilizio e disciplina regionale: quando la sanatoria è inammissibile

La sentenza del Consiglio di Stato ricorda che nella disciplina del condono edilizio convergono la competenza legislativa esclusiva dello Stato e quella concorrente delle Regioni

di Redazione tecnica - 05/03/2025

Qual è il rapporto tra disciplina statale e normativa regionale in materia di condono edilizio? In che misura le Regioni possono limitare l’applicabilità del condono nazionale? Il decorso del tempo può consolidare un affidamento legittimo in capo al privato?

Condono edilizio: nuova sentenza del Consiglio di Stato

Sono alcune delle domande a cui ha dato risposta la sentenza n. 1721 del 27 febbraio 2025, mediante la quale il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto avverso il diniego di condono edilizio e l’ordine di demolizione di un immobile realizzato in assenza di concessione edilizia.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici riguarda una richiesta di sanatoria presentata ai sensi del terzo condono edilizio (D.L. n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla L. n. 326/2003), successivamente rigettata dal Comune in virtù delle previsioni regionali. Decisione contestata dall’appellante secondo cui la normativa regionale non avrebbe potuto applicarsi retroattivamente alla sua domanda, presentata prima della sua entrata in vigore.

L'autonomia regionale nella disciplina del condono edilizio

Confermando l’orientamento già espresso in precedenti pronunce, il Consiglio di Stato ha ribadito che la disciplina del condono edilizio non è esclusiva competenza dello Stato, ma rientra nella materia del “governo del territorio”, su cui le Regioni esercitano potestà legislativa concorrente.

I commi 3 e 4, art. 32, del citato D.L. n. 269/2003, infatti, dispongono:

  • comma 3 - Le condizioni, i limiti e le modalità del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite nel presente decreto e dalle normative regionali.
  • comma 4 - Sono in ogni caso fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

A tal proposito, i giudici di Palazzo Spada hanno richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 196/2004, che ha chiarito come la normativa statale sul condono edilizio debba necessariamente essere integrata dalla legislazione regionale, che può prevedere limiti più restrittivi per la sanatoria delle opere abusive.

Nel caso di specie (siamo in Toscana), l’art. 6 della L.R. n. 53/2004 (emanata dopo la presentazione dell'istanza del caso di specie) ha stabilito che anche le domande presentate prima della sua entrata in vigore dovessero essere esaminate alla luce delle nuove disposizioni, restringendo quindi l’ambito applicativo del condono. Di conseguenza, la richiesta dell’appellante, riguardante un immobile realizzato in totale assenza di concessione edilizia, è risultata inammissibile secondo la normativa regionale.

Legittimo affidamento e principio di irretroattività

Uno degli argomenti centrali dell’appello riguardava il principio del legittimo affidamento, che l’appellante riteneva leso dall’applicazione retroattiva della normativa regionale. Secondo l’interessata, il Comune avrebbe dovuto esaminare la domanda sulla base della sola normativa statale vigente al momento della sua presentazione.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha chiarito che nei procedimenti amministrativi vige il principio del tempus regit actum, secondo il quale l’Amministrazione deve applicare la normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento finale e non quella esistente al momento della presentazione dell’istanza. Ne consegue che il privato non può vantare alcun diritto alla definizione del procedimento secondo una normativa ormai superata, essendo titolare di una mera aspettativa, priva di tutela giuridica.

Inoltre, i giudici hanno escluso la violazione del principio di irretroattività, sottolineando che il legislatore ha il potere di introdurre norme retroattive, purché siano giustificate da esigenze di interesse pubblico e rispettino i principi di ragionevolezza e non discriminazione.

Ordine di demolizione e silenzio-assenso

Un altro aspetto controverso della vicenda riguardava il decorso del termine biennale previsto dall’art. 5, comma 5, della L.R. Toscana n. 53/2004 per la definizione delle domande di condono. Secondo l’appellante, l’inerzia dell’Amministrazione avrebbe determinato l’accoglimento implicito dell’istanza per effetto del silenzio-assenso.

Anche su questo punto, il Consiglio di Stato ha ribadito che il superamento del termine per la definizione del condono non determina l’automatica regolarizzazione dell’abuso, ma al più configura un’ipotesi di silenzio inadempimento, che legittima il privato a proporre un’azione avverso l’inerzia dell’Amministrazione. Pertanto, la mancata definizione della domanda non ha alcun effetto sanante sull’opera abusiva, che rimane assoggettata alle ordinarie conseguenze sanzionatorie, inclusa la demolizione.

Conclusioni

La sentenza del Consiglio di Stato conferma ancora una volta l’autonomia delle Regioni nella disciplina del condono edilizio, ribadendo che la normativa statale sul terzo condono non impedisce al legislatore regionale di stabilire criteri più restrittivi per la sanatoria delle opere abusive.

Inoltre, i giudici hanno chiarito che il principio del tempus regit actum prevale sull’affidamento del privato, il quale non può pretendere di beneficiare di una disciplina ormai superata. Infine, il decorso del termine per la definizione della domanda di condono non comporta alcuna forma di sanatoria automatica, ma semmai legittima un’azione contro l’inerzia dell’Amministrazione.

Si tratta di una pronuncia di particolare rilievo per gli operatori del settore, che conferma la necessità di un attento esame della normativa regionale prima di presentare un’istanza di condono edilizio.

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