Riforma Testo Unico Edilizia: da dove cominciare?
Riflessioni e osservazioni sulla necessità di riformare il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia)
Se ne discute da anni, senza mai arrivare a una proposta concreta e strutturata (e quelle già elaborate non sono mai state realmente prese in considerazione). In Parlamento, la consapevolezza della necessità di una riforma c’è (o almeno si spera), ma nessuno è mai andato oltre dichiarazioni d’intenti o interventi normativi spot che hanno solo contribuito a rendere il quadro ancora più confuso.
Il Testo Unico Edilizia
Sto parlando del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE), una normativa che avrebbe dovuto semplificare e accorpare la disciplina edilizia, ma che nel corso del tempo si è trasformato in un labirinto normativo, distante anni luce dalla realtà operativa del settore e dalle esigenze di chi vi lavora.
Alla sua origine, il TUE (Testo A) è stato formalmente preceduto e costituito da due provvedimenti distinti:
- il D.Lgs. n. 378/2001, che raccoglieva in un unico corpo normativo le disposizioni legislative in materia edilizia (Testo B);
- il D.P.R. n. 379/2001, che riordinava le disposizioni regolamentari (Testo C).
Ma il contesto in cui è stato concepito era irrimediabilmente diverso da quello attuale.
Vent’anni fa, il settore edilizio era ancora caratterizzato da una forte espansione, con un focus sulle nuove costruzioni piuttosto che sul recupero del patrimonio esistente. Oggi, invece, la priorità è la rigenerazione urbana, la riqualificazione e la gestione delle innumerevoli difformità edilizie accumulate nel tempo per diversi motivi che sarebbe troppo complicato analizzare attentamente.
Eppure, il Testo Unico Edilizia continua a essere tarato su un modello di sviluppo superato, rattoppato da continue modifiche che lo hanno reso sempre meno chiaro e più difficile da applicare. Lo dimostrano i ripetuti tentativi di ridefinire concetti fondamentali come la ristrutturazione edilizia, lo stato legittimo e la gestione delle difformità.
A questo punto, non serve più chiedersi se la riforma sia necessaria, ma da dove partire per costruire finalmente un quadro normativo aderente alla realtà del costruito.
Un quadro normativo fermo al passato
Il d.P.R. n. 380/2001 è stato pensato in un periodo in cui il mercato edilizio era dominato dalla nuova edificazione. Le esigenze primarie erano quelle di normare e controllare i nuovi cantieri, regolando gli aspetti autorizzativi, urbanistici e strutturali.
Oggi il contesto è radicalmente cambiato.
Non si costruisce più come vent’anni fa e la vera sfida non è l’espansione edilizia, ma il recupero e la rigenerazione urbana. Il patrimonio edilizio esistente è vasto, frammentato e spesso irregolare dal punto di vista amministrativo e urbanistico. In questo scenario, il TUE è ormai un vestito logoro, incapace di fornire strumenti concreti per affrontare le reali necessità del settore.
E allora, prima ancora di parlare di riforma, bisognerebbe partire da una fotografia chiara della situazione edilizia esistente:
- quante e quali sono le difformità edilizie?
- quali sono le tipologie di abuso più frequenti?
- quali strumenti normativi possono essere adottati per regolarizzare le situazioni sanabili?
Senza una mappatura del costruito e delle sue criticità, si rischia di scrivere l’ennesima norma astratta, scollegata dalla realtà.
Stato legittimo e abusi edilizi
Uno degli aspetti più critici della normativa attuale è la definizione dello stato legittimo e la gestione delle difformità edilizie.
Di recente, il comunicato congiunto di Architetti, Ingegneri e Geometri ha evidenziato la necessità di un riordino su quattro punti chiave:
- il riordino e la revisione delle tipologie di intervento edilizio;
- la razionalizzazione dei titoli abilitativi;
- la definizione delle diverse tipologie di difformità;
- la ridefinizione dello stato legittimo.
Un’impostazione interessante, ma il cui punto di partenza avrebbe dovuto essere proprio lo stato legittimo e classificazione delle difformità edilizie, soprattutto in considerazione che l’art. 9-bis, comma 1-bis, del TUE (che definisce proprio lo stato legittimo) è stato numerosamente modificato dalla sua introduzione nel 2020 con il D.L. n. 76/2020 (Decreto Semplificazioni). Anche con il recente Salva Casa e le recenti Linee guida del MIT, le problematiche connesse alla corretta definizione dello “stato legittimo” continuano ad accendere il dibattito tra gli studiosi.
Proprio per questo motivo, per una seria riforma si dovrebbe cominciare rispondendo puntualmente alla domanda: come si definisce lo stato legittimo di una unità immobiliare o di un edificio=
Da questa definizione si passerebbe, quindi, alla distinzione degli abusi edilizi sulla base della loro gravità, differenziando tra:
- abusi formali, legati a vizi procedurali o alla mancanza di titoli edilizi, ma in assenza di reali violazioni urbanistiche;
- abusi parziali, che riguardano variazioni non conformi, ma regolarizzabili;
- abusi maggiori, ossia interventi in contrasto totale con la normativa, per i quali la demolizione resta l’unica opzione.
Per ogni tipologia di abuso dovrebbero poi essere previste soluzioni chiare: sanatoria per gli abusi formali e parziali, demolizione per quelli maggiori. Solo così si eviterebbe il caos interpretativo attuale.
Interventi edilizi e procedure amministrative
Una riforma seria non può prescindere da una revisione organica delle categorie di intervento edilizio, superando la frammentazione attuale. Il concetto di recupero edilizio deve essere finalmente normato in modo chiaro, includendo tutte le operazioni finalizzate alla riqualificazione del patrimonio esistente, comprese la demolizione e ricostruzione.
Contestualmente, occorre semplificare i regimi amministrativi, riducendoli a tre categorie:
- edilizia libera, per interventi minori e di manutenzione ordinaria;
- SCIA, per interventi che non modificano sostanzialmente l’edificio;
- permesso di costruire, riservato solo a interventi di impatto urbanistico significativo.
In questo modo, si eliminerebbero le attuali sovrapposizioni e le incertezze interpretative che rallentano l’attività edilizia.
Conclusioni
Concludendo, riformare il Testo Unico Edilizia non significa aggiungere qualche articolo o modificare qualche comma. Serve una visione chiara e pragmatica, capace di rispondere alle reali necessità del settore.
Senza una definizione degli obiettivi e la mappatura delle difformità edilizie, senza una classificazione chiara degli abusi e una semplificazione delle procedure, ogni tentativo di riforma rischia di trasformarsi in un’altra occasione mancata.
L’Italia non ha bisogno di nuovi rattoppi normativi, ma di una legge moderna, chiara e aderente alla realtà. Il tempo delle dichiarazioni è finito: serve un intervento strutturale e definitivo.
Testo Unico Edilizia: una proposta
Di seguito una proposta per i primi articoli, prioritari per la definizione di una seria riforma.
Art. 1 – Oggetto e principi generali
- Il presente decreto disciplina l’attività edilizia sul territorio nazionale, promuovendo il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, semplificando i procedimenti amministrativi e garantendo il rispetto della legalità attraverso un sistema chiaro di classificazione e riabilitazione delle difformità edilizie.
- La disciplina urbanistica ed edilizia deve essere ispirata ai principi di sostenibilità, sicurezza, semplificazione e proporzionalità rispetto alla natura dell’intervento.
Art. 2 – Classificazione degli interventi edilizi
Gli interventi edilizi si suddividono nelle seguenti categorie:
- manutenzione ordinaria: interventi di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e di mantenimento in efficienza degli impianti tecnologici, senza alterazione della struttura o della destinazione d’uso.
- manutenzione straordinaria: interventi che riguardano il miglioramento delle condizioni di un edificio, con possibilità di sostituzione o modifica di parti strutturali senza incremento di superficie utile o di volume.
- restauro e risanamento conservativo: interventi finalizzati a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità attraverso opere che rispettano la sua struttura originaria.
- recupero edilizio: comprende tutte le
tipologie di interventi finalizzate al ripristino, alla
riqualificazione e all’adeguamento funzionale del patrimonio
edilizio esistente. Include le seguenti categorie:
- recupero edilizio leggero: interventi di ripristino, riqualificazione e adeguamento funzionale senza aumento di volume o modifica della sagoma;
- rigenerazione edilizia: interventi di miglioramento delle prestazioni energetiche, strutturali e funzionali, con possibilità di ampliamenti e modifiche della destinazione d’uso compatibili con la pianificazione urbanistica;
- recupero edilizio pesante: interventi di demolizione e ricostruzione anche con modifica della sagoma e con incremento volumetrico nei limiti stabiliti dagli strumenti urbanistici;
- nuova costruzione: realizzazione ex novo di edifici e manufatti che comportano un’impronta urbanistica autonoma rispetto all’edificato preesistente.
Art. 3 – Riduzione e razionalizzazione dei titoli ediliza
L’attività edilizia si articola nelle seguenti tre categorie:
- attività libera: per interventi di manutenzione ordinaria, restauro e risanamento conservativo.
- segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA Unificata): per manutenzione straordinaria e recupero edilizio.
- permesso di Costruire (PdC): per le nuove costruzioni.
Art. 4 – Incentivi per la rigenerazione urbana e il recupero edilizio
Gli interventi di recupero edilizio sono prioritari rispetto alla nuova edificazione e godono di incentivi urbanistici ed economici, tra cui:
- riduzione del contributo di costruzione per interventi di recupero e riqualificazione;
- esenzione dagli oneri di urbanizzazione per interventi di ristrutturazione senza aumento di carico urbanistico;
- accesso a finanziamenti agevolati per la rigenerazione di edifici obsoleti dal punto di vista energetico e strutturale.
Art. 5 – Classificazione degli abusi edilizi
- Gli abusi edilizi sono classificati in tre categorie, con
relative sanzioni e possibilità di sanatoria:
- Abusi formali: riguardano interventi eseguiti senza titolo ma conformi alle norme urbanistiche ed edilizie vigenti. Sono sanabili con pagamento di una sanzione amministrativa e presentazione dei relativi titoli in sanatoria (SCIA o permesso di costruire in sanatoria).
- Abusi parziali: comprendono interventi non conformi alle norme urbanistiche ed edilizie, ma regolarizzabili con opportune modifiche. Sono sanabili previa verifica di compatibilità urbanistica, presentazione dei relativi titoli in sanatoria e pagamento di una sanzione proporzionata.
- Abusi gravi: riguardano interventi in totale difformità dagli strumenti urbanistici o in aree sottoposte a vincoli. Non sono sanabili e comportano la demolizione obbligatoria e il ripristino dello stato dei luoghi a carico del trasgressore.
- La sanatoria edilizia è ammessa esclusivamente per gli abusi formali e parziali, previa verifica della compatibilità urbanistica e della sicurezza strutturale.
Art. 6 – Demolizione e ripristino
- Per gli abusi gravi, la demolizione è obbligatoria e deve essere eseguita d’ufficio dal Comune in caso di inottemperanza del proprietario.
- Nei casi in cui la demolizione non sia tecnicamente realizzabile senza arrecare danni ad altre unità immobiliari legittimamente costruite, l’abuso è sanzionato con l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale e l’applicazione di una sanzione pecuniaria maggiorata.
Art. XXX (ultimo articolo) – Regime transitorio e attuazione
- Il presente testo normativo entra in vigore 24 mesi dopo dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Regioni e Comuni hanno 12 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta per adeguare i propri strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
- Restano salve le disposizioni in materia di tutela del paesaggio, dei beni culturali e della sicurezza strutturale.
Una sezione fondamentale dovrebbe contenere tutte le procedure per la regolarizzazione delle difformità edilizie, che provi ad eliminare le zone grige che nel corso degli anni sono state ormai affrontate dalla giurisprudenza.