Incentivi edilizi: serve una visione per il futuro
Osservazioni e considerazioni sull’indagine conoscitiva della Camera sull’impatto ambientale degli incentivi in materia edilizia
Secondo i dati contenuti nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) 2024, il settore civile è responsabile attualmente di circa il 44% dei consumi finali di energia nazionali e circa il 55% del settore residenziale ricade nelle classi energetiche meno efficienti (F e G). È probabilmente questo uno degli elementi più significativi dell’indagine conoscitiva della VIII Commissione Ambiente della Camera dei Deputati sull’impatto ambientale dei bonus edilizi.
Bonus edilizi: serve un cambio di rotta
Nella parte conclusiva dell’indagine emerge, con forza, ciò che chi lavora quotidianamente nel settore conosce bene: il patrimonio edilizio italiano è ancora in larga parte inefficiente e inquinante. Una constatazione che, unita agli obblighi imposti dalla nuova Direttiva (UE) 2024/1275 sull’efficienza energetica degli edifici, dovrebbe da sola giustificare un netto cambio di rotta sull’attuale assenza di una politica economica organica nel campo degli incentivi edilizi.
Un’altra certezza condivisa dagli operatori è che, nell’ultimo decennio, il tema della normativa fiscale incentivante non è mai stato affrontato in modo compiuto. Al contrario, si è stratificato un sistema confuso e disomogeneo, composto da leggi, decreti e prassi amministrative spesso in contraddizione tra loro. È questo il vero tallone d’Achille che ha minato l’efficacia di ogni incentivo fiscale, Superbonus incluso.
Eppure, nonostante il silenzio assordante della politica nell’ultima legislatura, il punto non è se incentivare, ma come. E qui sta la più evidente delle contraddizioni: si riconosce l’importanza di strumenti alternativi come la cessione del credito e lo sconto in fattura – fondamentali per superare la barriera dell’accesso al credito da parte dei cittadini – ma se ne limita progressivamente l’utilizzo, riducendone l’efficacia e compromettendo la portata redistributiva degli interventi.
L'esperienza Superbonus
Nel documento si legge che “il Superbonus ha riguardato solo il 3% degli edifici (su 12 milioni) che necessiterebbero di interventi di efficientamento” e che “in termini di costi, la riduzione di CO₂ ottenuta col Superbonus è costata circa 10 volte il valore di riferimento sul mercato ETS”. Viene citata anche la Banca d’Italia, secondo cui i benefici ambientali del Superbonus ripagherebbero i costi finanziari in circa 40 anni, a seconda del tasso di sconto e del valore attribuito alla riduzione delle emissioni.
Ma, ancora una volta, ripeto un concetto: il problema principale del fallimento del superbonus non è stata l’aliquota del 110%, quanto l’assenza di una visione di lungo periodo, la rincorsa normativa, i cambi di rotta, il caos procedurale che ha trasformato una misura potenzialmente virtuosa in una corsa a ostacoli, con effetti distorsivi su mercato, prezzi e fiducia dei cittadini.
La via d’uscita, tuttavia, esiste e va percorsa con decisione. Serve una riforma organica, unitaria, programmata, che tenga insieme detrazioni fiscali, strumenti finanziari complementari e sostenibilità economica. Una riforma capace di:
- abbandonare l’eccezionalismo normativo per costruire un sistema stabile, prevedibile, modulato sulle performance energetiche e sismiche reali degli edifici;
- garantire la possibilità di accedere al beneficio anche a chi non ha liquidità o capienza fiscale, mediante strumenti strutturati di sconto in fattura e cessione del credito;
- sostenere chi si trova in condizioni di povertà energetica attraverso misure specifiche, con accesso facilitato e accompagnamento tecnico.
Una proposta per il futuro
Su queste basi, ho già delineato una mia proposta base (ancora in fase embrionale) per un Testo Unico delle detrazioni fiscali in edilizia, che parte da un’osservazione tanto semplice quanto trascurata: l’art. 16-bis del TUIR contiene una distinzione inutile e dannosa tra interventi ammissibili sulle parti comuni e sulle singole unità immobiliari. Una distinzione che ha generato solo incertezza interpretativa e contenziosi, spesso alimentata da una sovrapposizione impropria tra categorie edilizie e concetti fiscali.
Nella mia proposta ho aggiunto l’urgenza di introdurre:
- un bonus base al 50% per tutti gli interventi edilizi (manutenzione, restauro, ristrutturazione) su parti comuni e private, con possibilità di ripartizione in 5, 10 o 15 anni (a scelta del contribuente);
- l’obbligatorietà di attestazioni tecniche e visti di conformità per tutte le tipologie di bonus, a garanzia della correttezza fiscale e tecnica dell’intervento;
- l’obbligo di utilizzo di imprese con DURC regolare;
- pagamento mediante bonifico parlante, per garantire tracciabilità e legalità;
- un sistema di incentivi incrementali, parametrati ai risultati ottenuti in termini di salti di classe energetica e sismica, con aliquote che possano arrivare fino al 90% per interventi combinati e di grande impatto.
La logica deve essere quella dell’obiettivo, non della tipologia di intervento. Niente obblighi di interventi trainanti o menù predefiniti: l’incentivo deve premiare chi migliora concretamente l’edificio, non chi si adegua a una lista fissa.
Il tempo delle sperimentazioni estemporanee è finito. Serve una vera politica industriale sull’edilizia che tenga insieme decarbonizzazione, sicurezza sismica e qualità dell’abitare. E serve un quadro normativo coerente e integrato, che parta da una riforma di sistema:
- del Testo Unico Edilizia,
- della legge urbanistica,
- dei requisiti igienico-sanitari.
Solo così potremo arrivare alla redazione di un Testo Unico delle detrazioni fiscali in grado di accompagnare con coerenza gli obiettivi ambientali, energetici, strutturali e sociali del Paese. Ma non solo, serve mettere insieme le eccellenze di cui si compone il nostro Paese. Abbiamo tante associazioni composte da professionisti eccellenti e appassionati che non aspettano altro che una chiamata.
In caso contrario, continueremo a rimanere ostaggi di un patrimonio edilizio vecchio, energivoro e pericolosamente fragile. E a pagare il prezzo, ambientale ed economico, sarà ancora una volta l’intero Paese.