Recupero dei sottotetti, cambio d’uso e tolleranze: interviene il TAR
Il TAR interviene su un abuso edilizio contestato che riguarda un ampliamento volumetrico per un recupero del sottotetto e cambio di destinazione d’uso. Possibile applicare le tolleranze per l’altezza?
Ampliamento volumetrico, recupero dei sottotetti, cambio di destinazione d’uso e nuove tolleranze: quanto può incidere un'altezza in più di 20 cm? Fino a che punto le nuove tolleranze costruttive introdotte dal Salva Casa possono evitare la demolizione? È possibile fiscalizzare l’abuso?
Recupero dei sottotetti, cambio d’uso e tolleranze: interviene il TAR
Questioni affrontate dal TAR Campania nella sentenza n. 1121/2025 che offre uno spunto importante per riflettere – ancora una volta – sui limiti della legittimità edilizia, soprattutto in riferimento a interventi che appaiono, a prima vista, di minima entità: lievi spostamenti di murature, modifiche di destinazione d’uso, altezze interne aumentate di qualche decina di centimetri.
In questo caso – e vale sempre ricordare che le sentenze vanno calate nel contesto specifico – la vicenda riguarda un classico tentativo di trasformazione del sottotetto da volume tecnico a civile abitazione. Il Comune ha risposto ordinando la demolizione di alcune opere ritenute abusive e il ripristino dello stato dei luoghi. Tra le opere contestate:
- il cambio di destinazione d’uso da sottotetto a residenziale;
- l’aumento delle altezze interne (da 2,70 m max autorizzati a 3,23 m reali);
- alcuni ampliamenti volumetrici (anche minimi);
- modifiche ai prospetti;
- realizzazione di divisori interni.
La ricorrente aveva sostenuto che:
- l’aumento di volume fosse contenuto entro il 2% e quindi gestibile ai sensi dell’art. 34-bis del d.P.R. 380/2001 (Testo Unico Edilizia);
- le opere interne fossero interventi di manutenzione straordinaria;
- la modifica d’uso fosse legittima ai sensi della legge regionale;
- la demolizione non potesse avvenire senza pregiudicare le parti del fabbricato legittimamente edificate;
- non fosse stata accertata la sanabilità delle opere contestate.
Il principio nella valutazione degli abusi
Il TAR ha rigettato integralmente il ricorso, ribadendo un principio ormai consolidato: gli abusi edilizi devono essere valutati nella loro globalità e non con un’ottica "atomistica". In altre parole, non si può chiedere di considerare separatamente ogni singolo intervento per cercare di “salvare” quelli minori. Se il risultato complessivo è un aumento del carico urbanistico, l’intervento va considerato nella sua totalità come abuso edilizio.
Nel caso di specie, il nodo centrale riguarda le altezze interne del sottotetto, che superavano quanto autorizzato. Secondo il Regolamento Edilizio vigente, un sottotetto tecnico è tale solo se rispetta i limiti di 2,00 m alla gronda e 2,70 m al colmo. Le altezze reali (2,65 m min e 3,23 m max) lo qualificano come volume abitabile, e quindi pienamente urbanistico, con effetti sul carico urbanistico e sulla conformità urbanistica dell’intero immobile.
Recupero sottotetti e sanabilità dell’intervento
Nella Regione in cui viene emessa la sentenza, la disciplina sul recupero abitativo dei sottotetti individua in maniera chiara e tassativa due condizioni imprescindibili per accedere alla possibilità di cambio d’uso: la destinazione residenziale dell’edificio e la legittimità (originaria o sopravvenuta tramite sanatoria) del fabbricato nel quale il sottotetto è ubicato.
Più precisamente, il legislatore regionale ha subordinato la possibilità di trasformare un sottotetto tecnico in unità abitativa all’accertamento, da un lato, della preesistenza del sottotetto rispetto alla data di entrata in vigore della legge, e dall’altro, della conformità urbanistico-edilizia dell’edificio, da intendersi come costruzione legittimamente realizzata o già oggetto di sanatoria ai sensi delle leggi nazionali sul condono edilizio. La norma non lascia margini interpretativi: l’utilizzo dei verbi “deve essere destinato” e “deve essere stato realizzato legittimamente o preventivamente sanato” impone un accertamento oggettivo e documentale dello status dell’edificio. In altre parole, non può essere riconosciuto alcun diritto al recupero abitativo in assenza della legittimazione pregressa dell’immobile, essendo questa un prerequisito imprescindibile e non sanabile ex post.
Nel caso in esame, tale presupposto non risulta soddisfatto: gli immobili oggetto della controversia sono risultati abusivi e mai sanati. Non è quindi consentito, per i fabbricati in questione, derogare alla disciplina urbanistica comunale vigente, che nel caso specifico (zona B1 del P.R.G.) non consente l’incremento dei volumi a uso residenziale, né in via ordinaria né in forma semplificata. A completamento del quadro normativo, va ricordato che l’assenza della doppia conformità (urbanistica ed edilizia al momento della realizzazione e al momento della domanda) preclude anche la possibilità di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001. L’intervento, in quanto privo dei presupposti richiesti sia a livello regionale sia nazionale, non può in alcun modo essere regolarizzato.
Tolleranze e sanzione alternativa
Relativamente alla contestazione che la maggiore altezza avrebbe potuto essere gestita utilizzando le nuove tolleranze di cui all’art. 34-bis del d.P.R. 380/2001, il TAR ha respinto chiarendo che il volume realizzato in eccesso è ben superiore al 2% del volume assentito (12,99 mc contro i 4,4 mc massimi consentiti in tolleranza). Oltretutto, il mutamento di destinazione d’uso incide direttamente sul carico urbanistico, escludendo qualunque forma di sanatoria in assenza di doppia conformità.
Per quanto riguarda la contestazione circa l’impossibilità di procedere con la demolizione senza pregiudizio delle parti del fabbricato legittimamente edificate, il TAR ha confermato un principio ormai pacifico per cui questa impossibilità di natura tecnica va dimostrata e, comunque, presuppone un accertamento da effettuarsi a valle, nella fase esecutiva della demolizione, su istanza dell’interessato.
Sulla possibilità di “fiscalizzare” l’abuso edilizio esiste una giurisprudenza consolidata per cui la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con una sanzione pecuniaria, prevista dall’art. 34 del d.P.R. 380/2001, va valutata solo nella fase esecutiva del procedimento, cioè dopo l’adozione dell’ordine di demolizione. In questa fase, l’interessato può dimostrare l’esistenza di un rischio strutturale o un pregiudizio per le parti legittimamente realizzate. L’Amministrazione non è tenuta a verificare preventivamente tali aspetti al momento dell’ordine: spetta al privato dimostrare, in modo rigoroso e successivo, l’impossibilità oggettiva di eseguire la demolizione senza danni.
Conclusivamente, il ricorso è stato rigettato e il provvedimento di demolizione confermato.
Documenti Allegati
Sentenza TAR Campania 10 febbraio 2025, n. 1121