Sanatoria semplificata e autorizzazione paesaggistica: interviene il MiC
Una circolare del Ministero della Cultura chiarisce il rapporto tra la nuova sanatoria semplificata inserita dal Salva Casa e i principi del Codice dei beni culturali e del paesaggio
Può davvero un intervento paesaggisticamente incompatibile diventare legittimo per silenzio-assenso? Come si coordina il nuovo art. 36-bis del Testo Unico Edilizia con il Codice dei beni culturali e del paesaggio? E soprattutto: quali sono gli effetti pratici per i tecnici e per le Soprintendenze?
Sanatoria semplificata e autorizzazione paesaggistica: TUE vs CBCP
Il quadro normativo che regola le sanatorie edilizie e paesaggistiche continua ad evolversi e a complicarsi. L’introduzione dell’art. 36-bis al d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE), avvenuta con la Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa), ha modificato in modo rilevante il perimetro delle conformità sanabili, estendendo la possibilità di rilascio del titolo anche a interventi con variazioni essenziali e realizzati in difformità o assenza di autorizzazione paesaggistica.
Ma l’aspetto certamente più rilevante (e controverso) riguarda il comma 4 del citato art. 36-bis che, oltre a consentire la possibilità di richiedere l’accertamento paesaggistico propedeutico per la sanatoria semplificata, ne autorizza l’applicazione “anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l'aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Possibilità che “apparentemente” amplia le casistiche previste dal D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali o CBCP) e si scontra con le seguenti disposizioni:
- art. 167, comma 4 che alla lettera a) concede la possibilità di accertare la compatibilità paesaggistica “per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”;
- art. 183, comma 6 per cui “Le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi del presente decreto legislativo se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.
Sanatoria semplificata e autorizzazione paesaggistica: la circolare del MiC
Con la circolare 4 aprile 2025, n. 19, il Ministero della Cultura è intervenuto chiarendo come tale innovazione si inserisca (o dovrebbe inserirsi) nel contesto del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ed evidenziando un’interpretazione che tenta di risolvere una delle più evidenti antinomie legislative degli ultimi anni.
Anche il MiC rileva che la novità più controversa dell’art. 36-bis riguarda il comma 4, che consente l'accertamento della compatibilità paesaggistica anche per interventi che abbiano comportato aumento di volumi o superfici, purché rientrino nelle ipotesi previste al comma 1 (difformità ex artt. 34 e 37 TUE). Una possibilità che, a prima lettura, sembra scontrarsi con quanto previsto dall’art. 167, comma 4, lett. a) del CBCP, che ammette il rilascio postumo dell’autorizzazione solo nei casi che non abbiano determinato aumento di volumi o superfici utili.
Una contraddizione che il Ministero definisce “solo apparente”, risolta attraverso il principio di successione delle leggi nel tempo. In sostanza, la norma più recente (il nuovo art. 36-bis) prevale, pur in assenza di una modifica formale del Codice. Una lettura che sposta il baricentro verso una maggiore flessibilità nella sanatoria paesaggistica.
Ruolo Soprintendenze, silenzio-assenso e vincolo sopravvenuto
Secondo il MiC, l’art. 36-bis del TUE non deroga ai principi del CBCP in quanto il parere delle Soprintendenze mantiene natura vincolante ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio già effettuato. E per questo non sussisterebbe alcun contrasto con l’art. 183, comma 6, del CBCP.
La circolare ribadisce che resta vincolante il parere della Soprintendenza da rendere entro 90 giorni, oltre i quali si forma il silenzio-assenso. Se anche questo termine decorre senza riscontro, l’autorità procedente (Comune o SUAP) può decidere autonomamente, anche in presenza di volumi o superfici realizzati abusivamente.
In realtà (a parere di chi scrive) è evidente qui un potenziale cortocircuito: la tutela paesaggistica, in teoria inalienabile, potrebbe essere aggirata per inerzia. Il Ministero ne è consapevole e invita le Soprintendenze a organizzarsi per rendere residuali tali casi, ma il rischio sistemico resta.
Altro aspetto di rilievo: l’art. 36-bis consente il rilascio del parere vincolante anche se il vincolo paesaggistico è stato apposto dopo la realizzazione dell’intervento. Anche qui si conferma un cambio di paradigma: l’intervento edilizio, pur in assenza di vincolo al momento dell’abuso, può essere sottoposto ex post a valutazione paesaggistica. Un’impostazione che, seppur logica, richiede attenzione sul piano probatorio e procedurale.
Conclusioni e criticità
Alla luce della circolare, emergono alcune indicazioni operative chiare:
- gli interventi in parziale difformità o con variazione essenziale indicati all’art. 36-bis possono essere sanati anche se hanno comportato incremento di superfici/volumi, purché conformi alla disciplina edilizia/urbanistica (doppia conformità “asimmetrica”) e se ottengono il parere vincolante della Soprintendenza;
- il silenzio-assenso scatta dopo 90 giorni dal parere della Soprintendenza e, in ogni caso, entro 180 giorni dalla domanda;
- le Soprintendenze devono riorganizzare i procedimenti per evitare l’automatismo del silenzio-assenso;
- al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal comma 1 dell’art. 36-bis, resta fermo l’art. 167 del Codice e l’impossibilità di sanare incrementi volumetrici.
La circolare cerca di dare coerenza a un sistema normativo sempre più stratificato, ma non può nascondere le difficoltà interpretative e applicative che si porranno sul campo.
In particolare:
- il principio di specialità tra CBCP e TUE non viene risolto definitivamente e la scelta di non modificare il Codice lascia spazio a futuri contenziosi;
- il ricorso al silenzio-assenso su una materia di tutela costituzionale, come il paesaggio, appare giuridicamente delicato e politicamente rischioso;
- per i tecnici, si apre un fronte nuovo: potranno proporre sanatorie anche per volumi, ma dovranno gestire una relazione sempre più complessa con le Soprintendenze, senza la certezza del diritto che servirebbe.
In conclusione, l’art. 36-bis del TUE segna una svolta importante nel rapporto tra edilizia e paesaggio, ma rischia di compromettere proprio quei valori di tutela che dovrebbe rafforzare. Il legislatore ha scelto la strada della semplificazione, ma senza un vero coordinamento tra i diversi corpi normativi, il pericolo è che si apra un varco alla legittimazione sistematica dell’abuso.
Oggi più che mai servirebbe una riforma organica della normativa edilizia e urbanistica, capace di ricondurre a sistema le deroghe e le eccezioni. Serve l’aggiornamento del DM Sanità, ormai obsoleto rispetto alle esigenze dell’edilizia contemporanea. Servono risposte strutturali, non l’ennesimo provvedimento emergenziale, battezzato con nomi ricorrenti – “Semplificazioni”, “Salva questo”, “Salva quello” – che continuano ad aumentare gli oneri interpretativi per chi opera sul campo.
Il rischio concreto è che, mentre si rincorre l’abuso con strumenti sempre più permissivi, si abbandonino la coerenza normativa e la certezza del diritto, lasciando ai tecnici il compito di orientarsi con una mappa sempre più sfilacciata e priva di bussola.
Documenti Allegati
Circolare MiC