Opere precarie: quando serve comunque il titolo abilitativo?

La Cassazione chiarisce ancora una volta criteri requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria ai sensi del d.P.R. n. 380/2001

di Redazione tecnica - 11/04/2025

È sufficiente che un’opera sia smontabile o realizzata con materiali leggeri per escludere l’obbligo del permesso di costruire? O conta, piuttosto, la finalità e la durata d’uso dell’intervento?

Opere precarie: interviene la Corte di Cassazione

Quello della precarietà dell’opera è un concetto molto sfumato la cui qualificazione dipende da molti fattori inseriti all’interno del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE) agli articoli 3 (Definizioni degli interventi edilizi) e 6 (Attività edilizia libera). Fattori da cui discende anche il relativo regime amministrativo.

L’argomento (molto delicato) è stato affrontato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 2 aprile 2025, n. 12661 che interviene nuovamente su un tema ricorrente nella pratica edilizia: la qualificazione delle opere precarie e l’applicabilità dell’attività edilizia libera che, come noto, non è mai completamente libera ma condizionata dal rispetto di vincoli settoriali e urbanistici.

Il caso riguarda la realizzazione di strutture lignee installate su suolo demaniale, apparentemente destinate ad uso stagionale, ma contestate in sede penale per assenza di titoli edilizi e paesaggistici. A nulla sono valse, nel ricorso, le argomentazioni difensive incentrate sull’irrisorietà urbanistica e sulla presunta natura temporanea degli interventi.

Vediamo perché.

Opere precarie: il criterio non è quello strutturale

Nel respingere le doglianze del ricorrente, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato in giurisprudenza: la natura precaria di un'opera edilizia va valutata secondo un criterio funzionale, e non strutturale.

In altri termini, non basta che l’opera non sia stabilmente infissa al suolo o realizzata con materiali leggeri: per essere considerata precaria e, dunque, esonerata dal permesso di costruire, deve essere destinata a soddisfare esigenze effettivamente temporanee e contingenti.

Come specificato dalla Cassazione, occorre prendere come punto di riferimento le seguenti disposizioni del Testo Unico Edilizia:

  • l’art. 3, comma 1, lett. e.5), che qualifica come “nuova costruzione” anche “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti”;
  • l’art. 6, comma 1, lett. e-bis), che riconduce all’attività edilizia libera “le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale”.

Il paradosso della stagionalità

La Cassazione ha evidenziato un punto particolarmente interessante: l’alternanza stagionale dell’uso non giustifica automaticamente la qualificazione dell’intervento come temporaneo.

Se, infatti, lo smontaggio avviene sistematicamente al termine di ogni stagione balneare, ciò denota un utilizzo strutturalmente ricorrente e duraturo nel tempo, incompatibile con la natura precaria. È questa la contraddizione di fondo che emerge nel caso esaminato: il ricorrente afferma la provvisorietà dell’opera, ma la sua rimozione stagionale è diventata routine, rivelando un uso ordinario e ripetuto, non eccezionale né limitato.

Anche volendo inquadrare gli interventi nel regime dell’edilizia libera, la Corte ribadisce un concetto chiave: l’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001 è applicabile solo nel rispetto delle normative di settore, in particolare quelle paesaggistiche.

Nel caso in esame, l’assenza di un’autorizzazione paesaggistica valida, unita alla creazione di nuova superficie (ampliamento fino a 310 mq), esclude qualsiasi possibilità di sanatoria, tanto paesaggistica quanto urbanistica. L’eventuale parere favorevole della Commissione Paesaggio, come osservato dai giudici, è un atto endoprocedimentale che non equivale a un’autorizzazione.

Edilizia libera e opera precaria: i requisiti

Il concetto di opera precaria viene chiarito dalla Cassazione distinguendo tra due criteri teorici:

  • strutturale: è precaria l’opera non stabilmente infissa al suolo;
  • funzionale (quello seguito dalla giurisprudenza): è precaria solo l’opera destinata a soddisfare esigenze temporanee e contingenti.

In sostanza, non rileva il tipo di materiali utilizzati o la facilità di smontaggio, ma la destinazione d’uso e la durata dell’intervento. Se l’opera è utilizzata in modo continuativo o periodico (es. stagionale), non può considerarsi precaria.

Sia la Cassazione che il Consiglio di Stato hanno più volte sottolineato che la precarietà richiede un uso effettivamente limitato nel tempo, escludendo opere che producono un’alterazione duratura del territorio o che soddisfano esigenze permanenti.

Nel caso in esame, la reiterazione di interventi abusivi nel tempo e l’assenza di una valida sanatoria paesaggistica hanno portato a escludere la natura precaria e l’applicabilità dell’edilizia libera. Lo stesso parere favorevole della Commissione Locale Paesaggistica non ha valore sanante senza un provvedimento autorizzativo formale.

Conclusioni

Il nuovo intervento degli ermellini offre un’utile occasione per ricordare alcuni punti fondamentali:

  • l’opera precaria non si definisce per come è costruita, ma perché è costruita: deve rispondere a esigenze realmente temporanee e contingenti;
  • il regime dell’edilizia libera non è un lasciapassare in presenza di vincoli paesaggistici o di incremento di superficie o volume;
  • l’alternanza stagionale non basta: se l’opera viene rimossa e reinstallata ogni anno, questo indica un uso strutturalmente stabile;
  • serve cautela nella valutazione preliminare: anche interventi apparentemente minori possono generare responsabilità penali se effettuati senza i dovuti titoli.

In fondo, occorre ricordare che alla base dell’edilizia libera vi è l’inciso contenuto al comma 1, art. 6, del TUE per il quale “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ….”.

Prescrizioni spesso dimenticate da chi pensa solo alle caratteristiche dell’opera e non al suo reale utilizzo.

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