Quando l’assicurazione non copre il tecnico: la Cassazione rimescola le carte

Se la compagnia rifiuta la copertura, il giudice potrà intervenire: professionisti più tutelati in caso di contenzioso

di Cristian Angeli, Antonio Petillo - 18/04/2025

Tra i professionisti, una delle preoccupazioni più ricorrenti riguarda la concreta efficacia della propria polizza di responsabilità civile professionale (RCP). In particolare, il timore è che – in caso di richiesta risarcitoria da parte di un cliente e dopo la corretta denuncia del sinistro – la compagnia assicurativa rifiuti di riconoscere la copertura.

Si tratta di uno scenario tutt’altro che raro, e spesso la causa è da ricercare in una serie di problematiche che si manifestano nella fase iniziale del contratto: errori o omissioni nel questionario precontrattuale, mancanza di informazioni rilevanti, oppure situazioni di conflitto latente con i clienti che non vengono segnalate.
Il problema principale è che molte volte il professionista si affida alla compagnia in modo passivo, dando per scontato che eventuali criticità verranno intercettate dall’intermediario. In realtà, nella maggior parte dei casi, le compagnie non approfondiscono in modo adeguato la posizione del cliente e non segnalano potenziali situazioni di rischio, né tantomeno eventuali deeming clause, ovvero le clausole che escludono la copertura per sinistri “potenziali” di cui si sarebbe già potuto avere notizia.

Le clausole claims made e il problema del cambio compagnia

Uno degli aspetti più delicati è rappresentato dalla cosiddetta clausola claims made, oggi molto diffusa nelle polizze RCP, anche quelle stipulate tramite le convenzioni con gli ordini professionali. Questa clausola prevede che l’assicurazione copra solo i sinistri denunciati durante il periodo di validità della polizza, a prescindere da quando si è verificato l’errore professionale.

Se, ad esempio, il cliente presenta una richiesta risarcitoria dopo la scadenza del contratto – anche se il fatto è avvenuto durante il periodo di copertura – la compagnia può rifiutare la garanzia, sostenendo che la denuncia è arrivata “fuori tempo”.

Il problema si complica nei casi, tutt’altro che rari, in cui il professionista cambia compagnia negli anni. Può capitare che, dopo il cambio, emerga una richiesta di risarcimento riferita a un incarico svolto in passato, e né la vecchia né la nuova assicurazione intendano coprire il danno.

In pratica, il rischio è che – pur avendo pagato regolarmente le polizze – il professionista si ritrovi scoperto proprio nel momento del bisogno. Una situazione paradossale, che mina alle basi il senso stesso della copertura assicurativa.

Cosa ha stabilito la Cassazione e perché è importante per i professionisti

Con l’Ordinanza n. 6490/2024, la Corte di Cassazione è intervenuta proprio su questi meccanismi, cercando di ristabilire un minimo di equilibrio tra le parti.

La Corte ha confermato che il momento che fa scattare l’operatività dell’assicurazione è la ricezione della richiesta risarcitoria (claims made), e non il momento in cui si è verificato il danno. Tuttavia, ha aggiunto che questa clausola – se usata in modo rigido – rischia di limitare troppo la tutela del professionista, rendendo la polizza inefficace nella pratica.

Secondo i giudici, il contratto assicurativo deve tenere conto delle reali esigenze delle parti. Da un lato, l’interesse dell’assicurato a tutelarsi dai rischi legati alla propria attività. Dall’altro, l’interesse della compagnia a vendere un servizio assicurativo ben definito.

Quando le clausole limitative – come quelle che escludono la copertura in caso di cambio compagnia o denuncia fuori tempo – stravolgono questo equilibrio, esse possono essere considerate nulle. La Cassazione chiarisce che è possibile sostituire tali clausole con altre più equilibrate, applicando l’articolo 1419 del Codice Civile, che prevede proprio la sostituzione automatica delle clausole nulle con altre compatibili con la volontà contrattuale delle parti.

Le conseguenze pratiche: come tutelarsi oggi

La decisione della Cassazione rappresenta un passaggio importante, perché apre la strada a una maggiore tutela per i professionisti. Se una compagnia assicurativa rifiuta la copertura sulla base di una clausola claims made, il professionista può contestare tale esclusione facendo leva proprio su quanto stabilito dalla Suprema Corte.
Il giudice potrà valutare caso per caso, tenendo conto della buona fede dell’assicurato e della condotta dell’assicuratore, in particolare se quest’ultimo non ha fornito un’informazione chiara e completa sulle effettive condizioni di copertura.

Va anche detto che oggi molte polizze prevedono meccanismi di retroattività e ultrattività – anche decennali – ma ciò non elimina completamente il rischio. Le compagnie possono comunque sollevare eccezioni, ad esempio sostenendo che il professionista avrebbe dovuto segnalare elementi di rischio già noti.
È quindi fondamentale prestare grande attenzione in fase precontrattuale, soprattutto nella compilazione del questionario assicurativo. Allo stesso tempo, è utile conservare copia di tutte le comunicazioni con i clienti e con l’assicurazione, per poter dimostrare, in caso di contenzioso, la propria correttezza e trasparenza.
Infine, laddove la compagnia rifiuti la copertura in modo ingiustificato, è possibile chiedere al giudice la rimozione della clausola escludente e la sua sostituzione con una più equa, facendo riferimento agli standard utilizzati in altri ambiti, come la responsabilità sanitaria, dove il tema è già stato ampiamente affrontato.

A cura di
Cristian Angeli
ingegnere esperto di agevolazioni fiscali applicate all’edilizia e contenziosi
www.cristianangeli.it
Antonio Petillo, avvocato esperto di responsabilità professionale e diritto assicurativo studiolegaleantoniopetillo@gmail.com

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