Dall’abitabilità all’agibilità: il Consiglio di Stato sull’evoluzione della disciplina

L'istituto dell’agibilità non è più volto soltanto a verificare la mera sussistenza di requisiti di natura igienico-sanitaria, ma mira ad assicurare il rispetto di una serie più ampia d’interessi pubblici

di Redazione tecnica - 22/04/2025

L’agibilità edilizia rappresenta un istituto complesso che, nato come accertamento della salubrità di un immobile, nel tempo ha esteso il suo campo includendo anche aspetti relativi a un concetto più ampio di sicurezza sociale, che si riverbera non solo sull’edificio, ma anche su aree esterne pertinenziali.

Abitabilità e agibilità: quando la disciplina urbanistica incontra l'interesse pubblico

Si tratta di una trasformazione iniziata con il r.d. n. 1265/1934 e che giunge ai giorni nostri con le novità introdotte sul tema dal Decreto Salva Casa e che il Consiglio di Stato ha ripercorso con la sentenza del 2 aprile 2025, n. 2823, in relazione all’appello proposto da un’Amminsitrazione Comunale che riteneva non agibile nemmeno l’area esterna di un edificio adibito a luogo di culto, sprovvisto di titolo edilizio, ancora formalmente in cantiere e, soprattutto, privo di agibilità.

Preliminarmente, i giudici di Palazzo Spada hanno sottolineato come la libertà di culto è un diritto costituzionalmente garantito e che le amministrazioni devono collaborare lealmente con le confessioni religiose, sia nel garantire spazi pubblici, sia nell’evitare ostacoli ingiustificati all’uso privato di luoghi di culto.

Tuttavia, quando viene in rilievo un potere vincolato come la repressione degli abusi edilizi, prevale l’obbligo di rispettare le norme urbanistiche e edilizie.

La stabile destinazione di un immobile a uso religioso comporta un impatto urbanistico e, pertanto, richiede il rispetto della normativa vigente, sia sotto il profilo formale (titolo edilizio e pagamento degli oneri), sia sostanziale (conformità urbanistica). Non è ammissibile invocare la libertà religiosa per eludere vincoli o attribuire all’immobile una destinazione difforme da quella stabilita dagli strumenti urbanistici.

 

Dall’abitabilità all’agibilità: l’evoluzione normativa

Le origini: la salubrità come condizione per abitare

Fino agli anni ’90, il concetto di “abitabilità” discendeva dall’art. 221 del R.D. n. 1265/1934 (testo unico delle leggi sanitarie), che subordinava l’uso residenziale degli immobili alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie. La competenza era in capo alle Unità sanitarie locali, con logiche prevalentemente sanitarie e non strutturali.

La riforma del 1994: abitabilità e agibilità si unificano

Con il d.P.R. n. 425/1994 viene unificata la disciplina per abitabilità e agibilità: si inizia a riconoscere che la salubrità non è sufficiente a garantire la legalità dell’uso, richiedendo invece:

  • il certificato di collaudo;
  • la dichiarazione presentata per l’iscrizione al catasto dell’immobile, restituita dagli uffici catastali con l’attestazione dell’avvenuta presentazione;
  • una dichiarazione del direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti.

Il Testo Unico Edilizia

Con il d.P.R. n. 380/2001, l’abitabilità muta il nome in agibilità diventa un titolo unico e necessario per tutte le destinazioni d’uso. L’art. 24 infatti attiene alla «sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato».

sicurezza statica;

  • salubrità;
  • risparmio energetico;
  • accessibilità;
  • conformità urbanistica;
  • corretta installazione impiantistica.

Le modifiche del “Salva Casa” (d.l. 69/2024)

Le novità introdotte dal decreto “Salva Casa” intervengono in chiave semplificatoria, soprattutto per le unità immobiliari preesistenti o parziali:

  • esclusione della nuova agibilità per lavori interni (art. 24, comma 3-bis): se gli interventi non alterano i requisiti strutturali, energetici o impiantistici, non è necessaria nuova SCIA per agibilità.
  • agibilità parziale (art. 24, comma 4): ammessa anche per singole unità immobiliari funzionalmente autonome.
  • eliminazione della sanzione pecuniaria per mancata agibilità, escludendo l’illecitazione automatica, ma restano conseguenze civili e urbanistiche.

 

Quale uso senza agibilità? Limiti, responsabilità, implicazioni

Guardando all’evoluzione normativa, l’agibilità non si limita più quindi alla salubrità dei locali abitativi. Si tratta invece di uno strumento sistemico di verifica della conformità urbanistica, edilizia, strutturale, energetica e ambientale dell’immobile (e delle sue pertinenze), a garanzia dell’incolumità collettiva e della funzione sociale della proprietà.

Come si legge nella sentenza, “L’agibilità non è più un istituto solo funzionale alla residenza ma una condizione di liceità giuridica dell’uso stabile di qualunque immobile, a qualunque destinazione assegnato”.

L'appello del Comune è stato quindi accolto: nel caso in esame l’area esterna risultava ancora “formalmente e funzionalmente” un cantiere, e mancava qualunque titolo abilitativo all’uso, aggravato dal fatto che l’intero iter edilizio si era concluso senza presentazione di SCIA di agibilità né richiesta di certificazione finale.

La libertà religiosa, infatti, non può prevalere sulla necessità di agibilità, intesa come garanzia di sicurezza e legalità dell’uso pubblico dell’immobile.

Conclude quindi il Consiglio che senza agibilità non è lecito l’uso stabile di un immobile, a prescindere dalla sua destinazione (residenziale, commerciale, scolastica, religiosa).

In particolare:

  • non rileva se si tratta di una sola area esterna;
  • non rileva la mancanza di impatto igienico-sanitario;
  • rileva invece l’assenza di una certificazione attestante la conformità dell’opera ai requisiti minimi di sicurezza e legalità.

L’agibilità, quindi, diventa una condizione essenziale e trasversale per l’uso “socialmente significativo” di un immobile, strettamente legata ai principi costituzionali di sicurezza, ambiente e funzione sociale della proprietà (artt. 9 e 42 Cost.).

 

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