SCIA edilizia: il TAR sul consenso del condominio ai lavori
In assenza di limiti urbanistici, i rapporti tra il privato e i terzi (vicini, condòmini, comproprietari) non possono essere valutati dall'Amministrazione locale per l'assenso a un intervento
È legittimo rigettare una SCIA in assenza del consenso del condominio? Può l’amministrazione entrare nei rapporti tra privati? La risposta della giustizia amministrativa è decisa e univoca, come dimostra la sentenza del TAR Sicilia del 3 febbraio 2025, n. 440, con cui è stato accolto il ricorso contro la revoca in autotutela di una SCIA per cambio di destinazione d’uso senza opere di un locale da negozio a garage, sostenendo la necessità del previo consenso dell’assemblea condominiale.
SCIA per cambio di destinazione d'uso senza opere: necessario l'assenso del condominio?
Nel caso in esame, il ricorrente aveva presentato una SCIA per modificare la destinazione d’uso di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva, situata in un condominio, da negozio a deposito/garage, senza realizzazione di alcuna opera edilizia. Dopo un primo via libera del Comune, il condominio si è opposto chiedendo l’annullamento, poi disposto in autotutela dall’amministrazione, che ha anche ordinato il ripristino della destinazione d’uso originaria.
A seguito di ciò, l’interessato ha presentato una nuova SCIA, integrando la documentazione e allegando un parere legale che motivava la non necessità dell’assenso condominiale per il tipo di modifica proposta. Nonostante ciò, il Comune ha confermato l’annullamento, motivo per cui è stato presentato il ricorso.
SCIA: cos'è la Segnalazione Certificata di Inizio Attività
Ricordiamo che ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:
- gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), dello stesso T.U.E. qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio o i prospetti;
- gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;
- gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c).
- le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire;
- le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.
Sulla SCIA, il TAR ha ricordato i consolidati principi giurisprudenziali secondo cui:
- la SCIA resta una dichiarazione del privato, non un provvedimento amministrativo: non è revocabile o annullabile in autotutela, ma solo soggetta a poteri inibitori o conformativi entro i 30 giorni previsti dall’art. 19 della L. 241/1990;
- decorso tale termine, la situazione si consolida, e la pubblica amministrazione può intervenire solo con un procedimento formale di secondo grado, nel rispetto dei presupposti di legge (interesse pubblico, comparazione degli interessi, motivazione rafforzata).
Il TAR: occhio alle ingerenze dei privati sull'attività urbanistica
Nel caso in esame, la seconda SCIA presentava elementi nuovi (documentazione aggiuntiva e motivazioni integrate), da considerarsi sufficienti per riattivare l’istruttoria pubblica, ma non per fondare un nuovo annullamento privo di adeguata motivazione sul piano tecnico-urbanistico.
Secondo il TAR, il Comune ha erroneamente fondato il diniego sull’assenza del consenso condominiale, come se si trattasse di un requisito urbanistico o titolo abilitativo integrativo, mentre si tratta – al più – di condizione rilevante tra le parti, da far valere nelle sedi civili ordinarie.
Va quindi censurata la prassi amministrativa che subordina il rilascio di titoli abilitativi edilizi (anche l'assenso alla SCIA) al previo consenso di titolari di diritti reali o personali su immobili confinanti o di comproprietà, come nel caso del condominio. La giurisprudenza amministrativa ha ormai chiarito che i rapporti tra l’istante e i terzi (vicini, condòmini, comproprietari), attengono esclusivamente alla sfera del diritto privato e non sono oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione locale.
Il Collegio ha quindi richiamato la lunga e consolidata giurisprudenza secondo cui:
- la PA non può rifiutare un titolo edilizio per assenza di assenso del condominio, poiché ciò equivarrebbe a sostituirsi al giudice civile nella valutazione di rapporti giuridici tra privati;
- i diritti dei terzi sono sempre salvaguardati ex lege (art. 11, co. 3, d.P.R. 380/2001), e non è compito dell’ente verificarli preventivamente;
- le eventuali violazioni a regolamenti condominiali non integrano illegittimità urbanistica dell’intervento.
La giurisprudenza, sia del Consiglio di Stato che dei TAR, è unanime nell’affermare che “Il rilascio del titolo edilizio non comporta alcun pregiudizio ai diritti dei terzi, che conservano la possibilità di farli valere in sede civile. L’amministrazione non può valutare se un’opera incida o meno su diritti altrui, ma solo la sua conformità a norme urbanistiche ed edilizie”.
Quando può essere rilevante il regolamento condominiale?
Il TAR ha chiarito che solo un regolamento condominiale approvato all’unanimità può limitare l’uso delle proprietà esclusive. Nel caso specifico, il regolamento si riferiva a vincoli sull’uso dei locali comuni, ma non conteneva alcun divieto espresso sul cambio di destinazione d’uso delle unità private.
Inoltre, l’intervento oggetto di SCIA non prevedeva opere edilizie, e il garage risultava già utilizzato per il parcheggio, rendendo la trasformazione non solo conforme, ma anche più contenuta rispetto alla destinazione commerciale preesistente.
Conclusioni: obbligo per la PA di valutare solo la conformità urbanistica
Il ricorso è stato quindi accolto: il Comune non può bloccare un intervento conforme sotto il profilo urbanistico-edilizio richiedendo elementi o assensi che attengono alla sfera dei rapporti privatistici.
L’unico criterio rilevante ai fini dell’ammissibilità della SCIA è la conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia. I diritti di terzi, ivi compresi i condomìni, sono fatti salvi dalla legge e devono essere fatti valere in sede civile, senza che la pubblica amministrazione possa farsi arbitro di situazioni privatistiche.
Documenti Allegati
Sentenza