IN CASO DI ILLEGITTIMA ESCLUSIONE, LA P.A. PAGA IL DANNO D’IMMAGINE
In caso di esclusione illegittima di un’impresa da una gara d’appalto, a prescindere dall’esito della riverifica dell’offerta, alla stessa va risarcito il da...
In caso di esclusione illegittima di un’impresa da una gara
d’appalto, a prescindere dall’esito della riverifica dell’offerta,
alla stessa va risarcito il danno, certo ed ingiusto, subito a
causa della illegittima esclusione, sia in termini di perdita di
altre gare, sia in termini di lesione della reputazione
professionale, sia in termini di danno curriculare.
Lo ha affermato la Sez. V del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4594 del 23 luglio 2009, ribaltando la decisione di un Tribunale Amministrativo Regionale che aveva confermato la legittimità dell’esclusione di un’impresa da un appalto indetto da una ASL per l’affidamento del servizio di vigilanza delle proprie infrastrutture.
In particolare, l’impresa era stata esclusa per non avere dichiarato in sede di domanda di partecipazione, tre condanne relative a dei reati risalenti a 35 anni prima e due condanne estinte con ordinanza del gip. Il provvedimento di esclusione, impugnato dall’impresa, era stato confermato dal TAR che ha ritenuto legittima l’esclusione. L’impresa ha poi promosso appello al Consiglio di Stato contestando l’irrilevanza delle condanne non dichiarate. Il giudici di Palazzo Spada, ribaltando la sentenza di primo grado, hanno ritenuto illegittima l’esclusione, tenuto conto dell’evidente tenuità delle tre vicende oggetto di depenalizzazione (conclusesi circa 35 anni fa con l’irrogazione di ammende di modesta consistenza) e dal quale si può trarre la difformità dell’esclusione in parola rispetto all’archetipo normativo giusta il principio del falso innocuo.
Tenuto, dunque, conto dell’irrilevanza delle vicende coperte da depenalizzazione, l’esclusione che ha colpito l’appellante è, pertanto, indebita. Ma la portata della sentenza sta nel fatto che nonostante la riammissione dell’impresa alla gara e a prescindere dal nuovo esito della stessa, la pubblica amministrazione deve comunque risarcire il danno subito dall’impresa sia in termini di perdita di altre gare (circostanza documentata in giudizio), sia in termini di lesione della reputazione professionale, sia in termini di danno curriculare. Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), può essere comunque fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. In linea di massima, allora, deve ammettersi che l’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.
Lo ha affermato la Sez. V del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4594 del 23 luglio 2009, ribaltando la decisione di un Tribunale Amministrativo Regionale che aveva confermato la legittimità dell’esclusione di un’impresa da un appalto indetto da una ASL per l’affidamento del servizio di vigilanza delle proprie infrastrutture.
In particolare, l’impresa era stata esclusa per non avere dichiarato in sede di domanda di partecipazione, tre condanne relative a dei reati risalenti a 35 anni prima e due condanne estinte con ordinanza del gip. Il provvedimento di esclusione, impugnato dall’impresa, era stato confermato dal TAR che ha ritenuto legittima l’esclusione. L’impresa ha poi promosso appello al Consiglio di Stato contestando l’irrilevanza delle condanne non dichiarate. Il giudici di Palazzo Spada, ribaltando la sentenza di primo grado, hanno ritenuto illegittima l’esclusione, tenuto conto dell’evidente tenuità delle tre vicende oggetto di depenalizzazione (conclusesi circa 35 anni fa con l’irrogazione di ammende di modesta consistenza) e dal quale si può trarre la difformità dell’esclusione in parola rispetto all’archetipo normativo giusta il principio del falso innocuo.
Tenuto, dunque, conto dell’irrilevanza delle vicende coperte da depenalizzazione, l’esclusione che ha colpito l’appellante è, pertanto, indebita. Ma la portata della sentenza sta nel fatto che nonostante la riammissione dell’impresa alla gara e a prescindere dal nuovo esito della stessa, la pubblica amministrazione deve comunque risarcire il danno subito dall’impresa sia in termini di perdita di altre gare (circostanza documentata in giudizio), sia in termini di lesione della reputazione professionale, sia in termini di danno curriculare. Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), può essere comunque fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. In linea di massima, allora, deve ammettersi che l’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.
A cura di
Ilenia Cicirello
Ilenia Cicirello
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