CAPARRA CONFIRMATORIA E INADEMPIMENTO
Di norma nei contratti di compravendita immobiliare il promittente acquirente in sede di sottoscrizione del preliminare si obbliga a versare una certa somma ...
Di norma nei contratti di compravendita immobiliare il
promittente acquirente in sede di sottoscrizione del preliminare si
obbliga a versare una certa somma di denaro (o quantità di altre
cose fungibili) a titolo di caparra confirmatoria (rif. art.
1385 cod. civ.) che gli verrà restituita o imputata alla
prestazione dovuta in caso di adempimento del contratto
definitivo.
Si tratta di una clausola avente la funzione di rafforzare l’efficacia del contratto dal momento che al verificarsi dell’inadempimento, a prescindere dalla prova dell’eventuale danno subito e senza dover ricorrere all’autorità giudiziaria, la parte non inadempiente potrà recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (o l’acquirente potrà chiedere il doppio di quella versata) che in tal modo rappresenta una sorta di liquidazione convenzionale del danno. Così facendo la parte non inadempiente può evitare le lungaggini dell’iter giudiziario e la necessità di fornire la prova dei danni subiti nell’incertezza tra l’altro dell’entità del risarcimento che il giudice eventualmente potrà assegnare.
In alternativa al recesso, che si configura quale rimedio stragiudiziale all’inadempimento, la parte che intende ottenere l’adempimento può invece chiedere la risoluzione giudiziale del contratto e il risarcimento dei conseguenti danni che dovranno però essere provati.
Una volta optato per la richiesta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione del contratto o della sua risoluzione, dottrina e giurisprudenza si sono spesso interrogate sulla possibilità o meno per la parte richiedente di poter, in ogni caso pretendere, oltre al risarcimento dei danni, la ritenzione della caparra a maggior ragione quando la prova del danno non dovesse andare a buon fine.
La più recente giurisprudenza ha ritenuto di esprimersi nel senso dell’alternatività e quindi non della complementarità (come invece affermato da altro indirizzo: vedi in proposito Cass. Civ. sez. I, 17/7/2001 n. 319) dei rimedi messi a disposizione della parte lesa nel senso che ove venga chiesta la risoluzione del contratto si perde il diritto a ritenere la caparra in quanto il risarcimento del danno andrà calcolato secondo le norme generali previa dimostrazione dell’esistenza e dell’ammontare del medesimo. In tal senso si sono espresse: Cass. Civ. sez. III, 24/1/2002 n. 849; Cass. Civ. sez. III, 20/9/2004 n. 18850; Cass. Civ. sez. II, 2/12/2005 n. 26232; Cass. Civ. sez. II, 7/6/2006 n. 13339.
Fonte:ANCE
Si tratta di una clausola avente la funzione di rafforzare l’efficacia del contratto dal momento che al verificarsi dell’inadempimento, a prescindere dalla prova dell’eventuale danno subito e senza dover ricorrere all’autorità giudiziaria, la parte non inadempiente potrà recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (o l’acquirente potrà chiedere il doppio di quella versata) che in tal modo rappresenta una sorta di liquidazione convenzionale del danno. Così facendo la parte non inadempiente può evitare le lungaggini dell’iter giudiziario e la necessità di fornire la prova dei danni subiti nell’incertezza tra l’altro dell’entità del risarcimento che il giudice eventualmente potrà assegnare.
In alternativa al recesso, che si configura quale rimedio stragiudiziale all’inadempimento, la parte che intende ottenere l’adempimento può invece chiedere la risoluzione giudiziale del contratto e il risarcimento dei conseguenti danni che dovranno però essere provati.
Una volta optato per la richiesta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione del contratto o della sua risoluzione, dottrina e giurisprudenza si sono spesso interrogate sulla possibilità o meno per la parte richiedente di poter, in ogni caso pretendere, oltre al risarcimento dei danni, la ritenzione della caparra a maggior ragione quando la prova del danno non dovesse andare a buon fine.
La più recente giurisprudenza ha ritenuto di esprimersi nel senso dell’alternatività e quindi non della complementarità (come invece affermato da altro indirizzo: vedi in proposito Cass. Civ. sez. I, 17/7/2001 n. 319) dei rimedi messi a disposizione della parte lesa nel senso che ove venga chiesta la risoluzione del contratto si perde il diritto a ritenere la caparra in quanto il risarcimento del danno andrà calcolato secondo le norme generali previa dimostrazione dell’esistenza e dell’ammontare del medesimo. In tal senso si sono espresse: Cass. Civ. sez. III, 24/1/2002 n. 849; Cass. Civ. sez. III, 20/9/2004 n. 18850; Cass. Civ. sez. II, 2/12/2005 n. 26232; Cass. Civ. sez. II, 7/6/2006 n. 13339.
Fonte:ANCE
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