Stato legittimo e piccole difformità edilizie: l'approccio tecnico per regolarizzare
Apertura o spostamento di finestre sull'intero prospetto dell'edificio sono degli illeciti edilizi? Cosa fare con le difformità in fase di costruzione?
Spesso, verificando la preesistenza urbanistica di un immobile, mi scontro con illeciti edilizi di piccola entità ma comunque argomento fastidioso da affrontare con la committenza. Esempio tipico che mi è capitato è l’apertura di finestre o spostamento di queste sul prospetto dell’intero edificio quindi non del singolo appartamento. Interventi palesemente eseguiti in fase di costruzione ma mai dichiarati, in quanto variante non essenziale, e neanche aggiornati in fase di accatastamento all’Agenzia del Territorio, quindi a tutti gli effetti illeciti che il committente è costretto a regolarizzare. Cosa mi consigliate di fare in questo caso?
Stato legittimo e piccole difformità edilizie: la domanda alla posta di LavoriPubblici.it
Riceviamo questa domanda che giriamo a Marco Campagna, architetto specializzato in attività di progettazione e direzione lavori di interventi sul patrimonio edilizio esistente pubblico e privato, quali: ristrutturazione, manutenzione, riqualificazione, regolarizzazione (accertamenti di conformità), due diligence immobiliare (anche valutazione dello stato legittimo), valorizzazione, restyling, gestione delle autorizzazioni in presenza di vincoli.
Di seguito la risposta integrale dell'arch. Campagna.
Stato legittimo e piccole difformità edilizie: la risposta dell'esperto
Le difformità edilizie vanno senz’altro valutate con scrupolo e competenza, senza farsi influenzare dal rapporto con il committente. Una difformità edilizia riscontrata come eseguita in corso d’opera deve essere affrontata esattamente come se fosse stata realizzata a posteriori: dal tramezzo collocato in una posizione leggermente diversa, passando per finestre spostate o con geometria differente, fino a vere e proprie differenze volumetriche, le più complesse da gestire. Per quanto riguarda il rapporto con la committenza, di cui senz’altro chi scrive comprende la delicatezza, occorre essere sempre fermi e, soprattutto, essere in grado di giustificare le proprie proposte da un punto di vista tecnico.
E qui probabilmente sorge il problema principale: le norme non indicano in modo preciso quando una finestra spostata rientra nelle tolleranze esecutive ed oltre quale limite debba ritenersi da sanare: il tema è proprio questo. Si deve partire a mio parere dalle tolleranze esecutive, concetto introdotto qualche anno fa nel DPR 380/01 e più di recente collocato in un articolo dedicato (34 bis), in cui sono state fornite delle indicazioni leggermente più circostanziate rispetto a prima. Oggi sappiamo ad esempio che se un edificio non è vincolato, una “diversa geometria” (dei prospetti?) non è un abuso ma può essere ricondotto alle tolleranze: tuttavia, in un prospetto lungo 10 metri, una finestra spostata di 50cm può essere comunque considerata una difformità rilevante, in quanto lo spostamento proporzionale sarebbe oltre il margine di tolleranza di legge (2%), anche se la norma non chiarisce che il confronto vada fatto necessariamente in questo modo.
Senz’altro, nell’approccio, in cui comunque deve pesare molto la valutazione del tecnico, deve essere considerato il carattere della intenzionalità nella difformità. Una difformità, difatti, è, ad avviso di chi scrive, riconducibile ad una tolleranza esecutiva solo nella misura in cui è chiaro che si tratta di una “svista” operativa, oppure un piccolo spostamento murario necessario per adeguarsi, ad esempio, ad un pilastro leggermente più grande di quanto originariamente previsto, oppure alla necessità di far passare uno scarico in un preciso punto della facciata. Quando la difformità è invece chiaramente ascrivibile ad una volontà di eseguire un qualcosa di differente rispetto al progetto (ad esempio una finestra che proprio non era prevista, oppure era prevista ma da tutt’altra parte), allora non vi è nessuna possibilità di evocare il principio della tolleranza esecutiva, e l’opera va senz’altro ricondotta ad accertamento di conformità.
I casi più dubbi quindi rimangono quelli, ad esempio, di: altezze diverse, dimensioni interne dei singoli ambienti o dell’intero immobile non coerenti; finestre spostate di una determinata misura; lievi (lievissime) differenze di sagoma. In questi casi, forse il caso più tipico è la finestra spostata. Io ho sviluppato un approccio, che non è stabilito in modo chiaro ma che mi appare come coerente: quando riscontro una finestra appunto leggermente disassata rispetto alle misure di progetto, mi metto a vedere di quanto lo è rispetto alla larghezza complessiva dell’unità immobiliare (le tolleranze vanno riferite alla singola unità immobiliare, e non all’intero fabbricato, e su questo la legge è chiarissima, così come le pronunce giurisprudenziali recenti nel merito) dal lato del fronte su cui si trova la finestra, ed applico il principio del 2%: tornando all’esempio di prima, se l’immobile ha una larghezza complessiva di 10 metri, la finestra potrà rientrare nel margine di tolleranza se la sua posizione o dimensione differisce di una quota fino a 20cm (2% di 10 metri), ma in altri casi è pure possibile evocare il fumoso concetto di “difformità geometrica”, anche se non è ben chiaro a cosa si riferisca.
Necessariamente, grande attenzione va posta, come accennato, agli ambiti vincolati, in quanto qui non è possibile applicare il comma 2 dell’art. 34 bis, che parla appunto di difformità geometriche ed altre importanti “liberalizzazioni”: nelle aree vincolate, vige esclusivamente il principio (generale e generico) del 2%.
Il consiglio, per concludere, è l’approccio tecnico che sia asettico, obiettivo, ragionato, ben descritto e sviluppato nell’ambito dell’istanza edilizia. Un approccio sviluppato con attenzione e ragionato, in cui non si è nascosto nulla di significativo, difficilmente verrà contestato dall’amministrazione o ritenuto errato dalla Giustizia Amministrativa, se del caso.
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