Superbonus 110%: la Cassazione sulle asseverazioni false del professionista
Due sentenze della Corte di Cassazione entrano nel merito dei reati commessi dal professionista in caso di attestazioni false per il superbonus 110%
Il superbonus 110% e il meccanismo di cessione dei crediti edilizi messi a punto con la prima versione degli articoli 119 e 121 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio), lungi dall'essere considerati perfetti. Lo dimostrano 20 provvedimenti normativi di modifica (a breve avremo il 21°) che hanno provato in corsa a rattoppare, semplificare e, infine, stravolgere queste misure.
Superbonus 110%: gli interventi della Cassazione
Considerati i tempi della giustizia italiana, non è un caso che le prime sentenze della Corte di Cassazione siano arrivate tra ottobre e novembre 2022, con delle indicazioni certamente importanti che con ogni probabilità hanno messo la scritta "game over" su queste misure fiscali.
Abbiamo già parlato delle prime 6 sentenze pubblicate tra il 28 ottobre e l'8 novembre:
- Sentenza n. 40865/2022
- Sentenza n. 40866/2022
- Sentenza n. 40867/2022
- Sentenza n. 40868/2022
- Sentenza n. 40869/2022
- Sentenza n. 42012/2022
In cui sono stati chiariti alcuni importanti concetti tra i quali:
- nella cessione dei bonus edilizi non c'è alcuna "garanzia" da parte dello Stato;
- non è prevista alcuna deroga al sequestro preventivo;
- le circolari dell'Agenzia delle Entrate non forniscono interpretazioni autentiche e vincolanti;
- la cessione dei bonus minori può essere fatta solo a SAL.
Superbonus 110% e asseverazioni false del professionista
A questi interventi se ne sono aggiunti altri due:
che in questo caso entrano nel merito delle asseverazioni infedeli o false rilasciate dal professionista, dimostrando (se fosse ancora necessario) che il meccanismo di cessione del credito basato sul visto di conformità, le asseverazioni del rispetto dei requisiti minimi e di congruità delle spese, passano sempre dalle mani di professionisti che possono lavorare secondo i principi deontologici oppure no.
Nei due casi oggetto delle nuove sentenze della Cassazione, abbiamo di fronte delle asseverazioni le cui anomalie possono essere così riassunte:
- la firma apposta alle asseverazioni appare non autografa, ma apposta attraverso un file immagine, che secondo i giudici farebbe pensare ad una modalità automatica di asseverazione, operata in assenza di quegli accertamenti e quelle verifiche che sono alla base dell'attività in questione;
- tutte le asseverazioni contestate si riferiscono al primo SAL del 30%;
- in esse non viene dichiarato il numero di protocollo del deposito in comune, prima dell'inizio lavori, della relazione tecnica ex art. 28 della legge 10/91 ed ex art. 8 del D.Igs. 192/05, ma solo la dizione "PEC";
- non viene allegato l'APE post intervento;
- il computo metrico allegato è quasi sempre non pertinente e il relativo importo complessivo dei lavori non coincide con quanto dichiarato nell'asseverazione;
- in alcuni casi viene dichiarato erroneamente che il comune di ubicazione dell'edificio oggetto dell'intervento è compreso nell'elenco dei comuni di cui al comma 4-ter dell'art.119 del Decreto Rilancio con la conseguenza che gli importi massimi ammissibili sono incrementati del 50%.
Anomalie rilevate su tutte le asseverazioni rilasciate per un Consorzio (1381 asseverazioni!), di cui uno dei professionisti indagati in una delle due sentenze è autore di ben 139 asseverazioni.
Tecnico asseveratore: ruolo fondamentale per la truffa
Alla luce delle suddette anomalie, per i giudici del riesame e per la Cassazione, sussiste il fumus in ordine alla partecipazione del tecnico asseveratore al sistema illecito in contestazione, atteso che il suo è senza dubbio un ruolo fondamentale per la riuscita del piano criminoso e la realizzazione della truffa ai danni dello Stato.
La Cassazione ha confermato anche il sequestro per la successiva confisca del denaro ricevuto dal tecnico da parte del Consorzio, che deriverebbe dall'attività criminosa posta in essere.
L'ammontare del profitto, si precisa nell'ordinanza impugnata, è stato correttamente individuato anche nella consulenza difensiva ed è sicuramente superiore alla somma rinvenuta sul conto intestato al tecnico e posta in sequestro. Del resto, aggiungono i giudici del riesame, la stessa difesa ha ammesso che i proventi dell'attività in favore del consorzio sono transitati su quel conto sebbene detta circostanza non sia determinante, attesa la fungibilità del denaro e la pacifica sequestrabilità del quantum che costituisce profitto illecito anche in mancanza di diretta derivazione delle somme effettivamente vincolate dalla contestata attività illecita.
La Cassazione ha ricordato il principio per il quale "la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta e che rappresenti I 'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione".
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