Superbonus con cambio di destinazione d'uso: il decreto ‘Salva SAL’ non basta

Per usufruire della “scappatoia” che permette la cessione del credito anche se i lavori non sono finiti entro il 2023 è comunque necessario aver emesso almeno un SAL e riuscire a terminare le opere

di Cristian Angeli - 23/07/2024

Sono proprietaria di un deposito accatastato in categoria C, sul quale ho eseguito a fine 2021 una serie di interventi edilizi, anche volti alla sua riconfigurazione in immobile di tipo residenziale, condizione necessaria per accedere al Superbonus. Pertanto, dato che i lavori avrebbero permesso miglioramenti energetici e sismici adeguati ad ottenere la maxi-detrazione, ho presentato la CILAS, avviando una pratica di cessione del credito d’imposta con un istituto bancario, non avendo la capienza fiscale per usufruire dei vantaggi offerti dal Superbonus direttamente in dichiarazione dei redditi.

La banca ha, però, scelto di sottoscrivere il contratto di cessione solo in relazione alla parte sismica dell’intervento, rifiutandosi poi di “completare” la cessione sulla parte di credito che riguarda i lavori energetici. Per questo motivo, ho dovuto bloccare il cantiere, poiché senza cedere il credito non ho disponibilità economica sufficiente. Ho saputo che un decreto permette di continuare a usufruire della cessione del credito anche se i lavori non sono terminati.

Posso sfruttare tale finestra e non completare i lavori anche se alcuni sono quelli che effettivamente permettono di variare la destinazione d’uso dell’immobile in residenziale?

L’Esperto risponde

Per cedere i crediti d’imposta che maturano dall’utilizzo del Superbonus o ricorrere allo sconto in fattura, il quadro normativo impone il rispetto di una serie intricata di requisiti. Alcuni sono di tipo “burocratico” e riguardano cioè i titoli amministrativi legati ai lavori, essendo ad esempio obbligatorio aver presentato la CILA entro il 17 febbraio 2023 per poter accedere alle pratiche alternative alla fruizione diretta della maxi-detrazione, come disposto dal DL 11/2023. Altri entrano più nel dettaglio della situazione pratica del cantiere, essendo necessario, per opera del successivo DL 39/2024, che entro il 30 marzo 2024 siano state saldate fatture in relazione a lavori effettivamente eseguiti.

Verificare il rispetto di queste condizioni nei singoli casi specifici, però, potrebbe non bastare, perché a prescindere da esse la “correttezza” delle pratiche di cessione discende anche dal generale rispetto della normativa Superbonus. Un suo cardine, ad esempio, è che i lavori devono essere effettivamente completati, cosicché lasciarli in sospeso fino “a data da destinarsi”, come sembra voler fare la gentile lettrice, espone a rischi di recupero fiscale non indifferenti.

E ciò anche se si sfrutta la “finestra” del DL 212/2023 (detto anche decreto “Salva-Sal”) citata nel quesito. Innanzitutto, non è detto che vi siano le condizioni per usufruirne. E in più, per quanto questa permetta di ricorrere a cessione del credito o sconto in fattura anche se i lavori non sono terminati, lo fa solo in riferimento alle spese del 2023 (si tratta di un decreto d’urgenza, come vedremo) e non permette comunque di “scavalcare” il necessario raggiungimento dei requisiti tecnici imposti dalla normativa Superbonus.

Tra questi, oltre al doppio salto di classe energetica, vi è proprio la necessità che, almeno a fine lavori, l’immobile risulti residenziale.

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