Superbonus con cambio di destinazione d'uso: il decreto ‘Salva SAL’ non basta
Per usufruire della “scappatoia” che permette la cessione del credito anche se i lavori non sono finiti entro il 2023 è comunque necessario aver emesso almeno un SAL e riuscire a terminare le opere
Il decreto Salva-DAL
Per comprendere come mai nel caso presentato dalla gentile lettrice non sembri una soluzione sfruttare il DL 212/2023, è innanzitutto necessario comprendere la sua natura del tutto transitoria, volta cioè a rispondere a una congiuntura specifica nella quale si sono trovati gli operatori del settore dell’edilizia agevolata (imprese e committenti dei lavori) a dicembre 2023, quando il decreto è stato emesso.
Il 1° gennaio 2024, infatti, era il giorno in cui l’aliquota del Superbonus sarebbe drasticamente crollata dal 110% al 70%, con la conseguenza che chi aveva optato per lo sconto in fattura o la cessione del credito avrebbe dovuto terminare i lavori entro il 31 dicembre per applicare il 110%, evitando il decalage. Data l’estrema difficoltà pratica, il legislatore ha scelto di intervenire per “salvare” alcune situazioni limite, e lo ha fatto proprio emanando il DL 212/2022. In particolare, il suo art. 1, co. 1 prevede che il Superbonus possa essere oggetto di sconto in fattura e cessione al 110% sulle spese del 2023 (evitando il crollo al 70% previsto per il 2024) anche se i lavori non sono stati terminati entro la fine del 2023, e anche se dall’incompletezza delle opere deriva il mancato doppio salto di classe energetica. Ma ciò non aiuta la gentile lettrice, che per sue difficoltà nei rapporti con la banca cui desiderava cedere il credito, si trova con lavori fermi nel 2024. Al massimo, potrà sfruttare il DL 212/2023 in relazione alla sole spese sostenute nel 2023, ma sempre che sia stato emesso almeno un SAL e, soprattutto, che i lavori saranno completati.
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