Superbonus: l’impresa che abbandona il committente copre il mancato risparmio fiscale
Una sentenza quantifica il danno da perdita di chance nella differenza tra l’ammontare del Superbonus e quello, inferiore, delle detrazioni cui si potrà avere accesso una volta sfumato il primo per colpa dell’appaltatore
L’avvento del Superbonus ha dato un’enorme spinta al settore edile, e com’è normale, negli ultimi anni tanto le imprese di costruzioni quanto i privati possessori di immobili si sono buttati a capofitto nella realizzazione di interventi agevolabili con la maxi-detrazione.
Non tutti, però, sono stati mossi da buone intenzioni, e alcune imprese si sono proposte come appaltatrici promettendo “mari a monti” per poi lasciare a bocca asciutta i committenti, che si trovano adesso a gestire le conseguenze di simili inadempimenti.
La necessità, spesso, è quella di realizzare comunque i lavori “abbandonati” dall’appaltatore, affidandoli a un altro, ma ciò significa anche ottenere un risparmio d’imposta meno generoso, date le scadenze che hanno caratterizzato il Superbonus e i suoi vari tagli di aliquota.
In tali situazioni, è chiaro che il danno subìto non risiede solo nell’inadempimento dell’impresa, ma anche nell’aver perduto la possibilità di ottenere la detrazione sperata. Il terreno è però scivoloso, e provare di avere subito un simile danno non è affatto scontato. Tuttavia, la giurisprudenza in materia sta maturando da un lato verso una direzione di tutela “ampia” del committente, dall’altro richiedendo l’allegazione di prove molto dettagliate.
Una sentenza del Tribunale di Pordenone datata 25 ottobre 2023, ad esempio, ha trattato proprio un caso del genere, rappresentando un ottimo esempio di cosa si può ottenere in risarcimento se le proprie speranze sono state alimentate da un appaltatore inaffidabile.
I fatti di causa
La sentenza menzionata ha accolto il ricorso di due coniugi, comproprietari di un compendio immobiliare nel quale sorge anche la casa in cui risiedono, che sono stati contattati telefonicamente da un’impresa edile che si è proposta di realizzare una serie di lavori tramite il Superbonus al 110% con sconto in fattura.
Dopo alcuni incontri con il referente commerciale dell’impresa, il quale ha garantito la professionalità della stessa descrivendo i molti interventi edilizi agevolati già realizzati con successo, è stato sottoscritto un contratto d’appalto che definiva il dettaglio dei lavori da realizzare, specificando che nulla sarebbe stato dovuto dai coniugi all’impresa, dato il ricorso alla pratica della cessione del credito d’imposta derivante dal Superbonus.
Così l’impresa ha assunto il ruolo di General Contractor, impegnandosi dunque a provvedere alla progettazione ed esecuzione dei lavori e a completare le opere entro le scadenze per la fruizione del Superbonus 110%. Ciò, però, non avveniva, al punto che l’impresa, più volte contattata dai committenti, non dava alcun riscontro sullo stato della pratica. Pertanto, i proprietari hanno formalmente diffidato la società a dar corso ai lavori, sottolineando l’esistenza di precise scadenze normative per portarli a termine e il danno conseguente alla riduzione delle aliquote di detrazione per il 2022 rispetto al 2021 che il ritardo nell’esecuzione dei lavori previsti gli avrebbe provocato.
La possibilità di risparmio non deve essere concreta
Non riuscendo a giungere ad alcun accordo con l’impresa, i committenti si sono attivati per ricercare un altro appaltatore disponibile a realizzare i lavori prospettati entro i termini per ottenere il 110%, ma nessuna ha dichiarato di essere in grado di assumersi tale impegno. Il Tribunale di Pordenone, pertanto, dopo aver accertato il totale inadempimento dell’appaltatore, ha stabilito che “con tale comportamento (l’impresa, ndr.) ha tenuto contrattualmente vincolati gli attori per oltre un anno con la prospettiva di dar corso ai lavori in regime di Superbonus 110%, senza poi in realtà far nulla di quanto era stato contrattualmente pattuito, cagionando agli attori la perdita della chance di poter usufruire delle predette agevolazioni”.
Una simile “perdita di chance”, nelle parole del Giudice, “non è una mera aspettativa di fatto bensì un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione” cosa che la rende risarcibile se è conseguenza diretta dell’inadempimento.
E ciò anche se non si tratta di una possibilità concreta (ma andata perduta) di ottenere il Superbonus.
Richiamando la sentenza n. 24050/2023 della Cassazione, infatti, il Tribunale ha specificato come “la chance è integrata dalla seria e consistente possibilità, come nel caso in esame, di ottenere il risultato sperato, la cui perdita […] è risarcibile […] tenendo, peraltro, conto che l'accertamento del nesso di causa avente ad oggetto la perdita di chance di conseguire un risultato utile non richiede anche l'accertamento della concreta probabilità di conseguire il risultato”.
Il risarcimento
In termini economici, la decisione del Tribunale ha portato a condannare l’impresa inadempiente a risarcire la perdita di chance subita dai committenti in modo tale da “coprire” il mancato risparmio fiscale. Nel dettaglio, cioè, il Giudice ha considerato che gli attori potessero comunque accedere al Bonus Ristrutturazioni per agevolare il costo di esecuzione degli interventi.
Dato, però, che tale beneficio fiscale avrebbe portato a un risparmio d’imposta inferiore a quello che avrebbe assicurato il Superbonus, il Tribunale ha quantificato i danni nella differenza tra i due importi.
Occhio alle prove
Dalla sentenza, in sostanza, emerge che “perdere il treno” di una detrazione edilizia per colpa dell’inadempimento dell’appaltatore porta a perdere una chance, e che tale perdita va risarcita a prescindere da quanto il risultato sperato fosse concretamente conseguibile. Si tratta di una buona notizia per quanti si trovano in una simile spiacevole situazione, ma le cose non sono comunque così semplici.
Ogni caso, infatti, ha le sue specificità tecniche (legali ed edilizie) e soprattutto giudici diversi possono giungere a conclusioni diverse. Certamente, in tema di perdita di chance, è fondamentale provare accuratamente ogni dettaglio. In alcuni casi simili a quello fin qui descritto, infatti, il risarcimento per perdita di chance è stato negato proprio a causa di carenze probatorie. Una sentenza del 4 luglio 2024 emanata dal Tribunale di Roma, tra le altre, non ha accolto un ricorso simile proprio poiché la committente dei lavori non ha “né allegato, né provato l’esistenza stessa del titolo che le darebbe diritto a tale risarcimento”. In particolare, la ricorrente non aveva provato di essere proprietaria dell’immobile e di possedere i requisiti per accedere al Superbonus.
Insomma, muoversi tra gli orientamenti giurisprudenziali in materia (che comunque sono ancora in evoluzione) non è un’operazione scontata, e per quanto, come detto, la Cassazione abbia stabilito che non è necessario che la chance perduta fosse “concreta” per ritenerla risarcibile, questa deve essere comunque “seria e consistente”, e tutto dipenderà da quanto si è in grado di provarlo.
A cura di Cristian Angeli
ingegnere esperto di agevolazioni fiscali applicate all’edilizia e
di contenziosi civili
www.cristianangeli.it
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