Superbonus: un motore per l’economia, anche per lo Stato
CRESME anticipa alcuni dati del XXXV Rapporto Congiunturale e Previsionale che sarà presentato a inizio dicembre. E dimostra che a guadagnarci non sono state solo le imprese
Come in ogni piccola grande rivoluzione che si rispetti, il Superbonus ha diviso fortemente la platea tra sostenitori e detrattori della misura.
Superbonus 110%: chi ci ha guadagnato?
In tanti dicono che con le agevolazioni fiscali al 110% abbiano lucrato soltanto imprese e costruttori, ma dall’analisi effettata da Cresme, che verrà presentata ufficialmente a inizio dicembre, si evidenzia come alle imprese di costruzioni sia andato il 21,8% della torta, mentre il resto è stato ripartito tra industria manifatturiera (18,2%), servizi di progettazione e piattaforme (13%) banche e intermediari finanziari (13%). Rimane un 34% che, nonostante si parli sempre di disavanzo nella spesa pubblica dovuto ai bonus edilizi, è andato allo Stato, tra IVA e tributi legati agli investimenti effettuati.
L'analisi di Cresme
Chi ha guadagnato sul Superbonus, quindi? Come punto di partenza dell’analisi, Cresme ha utilizzato i dati forniti da ENEA e MITE (oggi MASE): dal 31 agosto 2021 al 30 settembre 2023: in totale il Superbonus ha maturato 97 miliardi di euro di investimenti ammessi in detrazione.
Questa somma, è stata quindi ripartita su quella che è stata definita come “filiera sintetica degli utilizzatori”, composta da Stato, intermediari finanziari, settore delle costruzioni, servizi di progettazione, sulla base dei dati disponibili sul mercato.
Dall’analisi della spesa, si conferma che:
- sotto forma di prelievo fiscale (IVA, Ires e Irpef dei lavoratori, e di contributi previdenziali e assicurativi), nelle Casse dello Stato dovrebbe essere rientrato un valore pari al 34% degli investimenti, quindi 33 miliardi di euro. Si tratta di una stima simile a quella elaborata di recente dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili che si attesta sul 35%;
- il 13% è stato acquisito dagli intermediari finanziari. Sul punto, CRESME ricorda che la legge prevedeva un 10% di base in più rispetto alla spesa dei lavori (per questo era 110); con il passare del tempo, la cessione dei crediti acquisiti è diventata più difficile e questa percentuale è salita di molto. Il 13% rappresenta una stima prudente, corrispondente a 12,6 miliardi di euro su 97;
- altrettanto – sempre 12,6 miliardi di euro – sono andati ai progettisti e ai nuovi soggetti professionali che sono arrivati sul mercato della riqualificazione con le piattaforme per gestire le complesse procedure;
- infine, guardando al settor al netto di tasse e contributi, esse totalizzano circa 38,8 miliardi di euro, il 40% del totale, di cui il 42,6% è andato all’industria produttrici di materiali e alla loro distribuzione (17,7 miliardi) mentre ai lavoratori delle costruzioni e alle imprese sono quindi rimasti 21,1 miliardi di euro, il 21,8% del totale.
Si tratta di dati che, come lo stesso istituto ammette, invitano alla riflessione. Perché se è vero, come Cresme stesso ammette si è dato "troppo, in troppo poco tempo", la riqualificazione del patrimonio edilizio rappresenta un'importante voce nel bilancio dell'economia e in cui bisognerebbe trovare il giusto equilibrio tra risorse e tempo a disposizione per la realizzazione dei lavori.
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