Terremoto in Myanmar: a uccidere è la fragilità degli edifici

Il devastante sisma nel sud-est asiatico ha ancora una volta evidenziato che è necessaria la prevenzione. L'unico modo concreto per farla è sugli edifici stessi

di Redazione tecnica - 08/04/2025

Il sisma che ha colpito qualche giorno da il Myanmar ha fatto irruzione nei notiziari di tutto il mondo con immagini drammatiche e destabilizzanti. Edifici che crollano in pochi secondi, persone intrappolate tra le macerie, vite spezzate. Ma, accanto a questi scenari, appaiono anche video in cui imponenti grattacieli oscillano vistosamente, senza però subire danni strutturali. Un contrasto che racconta molto più del semplice evento naturale: non è il terremoto a causare le vittime, ma la vulnerabilità degli edifici.

Rischio sismico: a pesare sulle vite umane è la fragilità strutturate

A ricordarlo è ISI – Ingegneria Sismica Italiana che, attraverso una riflessione pubblicata nelle ore successive al sisma, pone al centro la questione chiave: le nostre case sarebbero in grado di resistere a scosse simili?

Come spiega l’associazione, il contesto in cui si è verificato il terremoto è noto alla comunità scientifica per la sua elevata attività sismica. Il Myanmar è attraversato dalla faglia di Sagaing, una delle più attive del pianeta, che ha già prodotto negli ultimi cento anni sei eventi sismici di magnitudo superiore a 7. Solo per citarne alcuni: 7.9 nel 1912, 7.5 nel 1931, due scosse superiori a 7 nel 1946, un altro sisma di magnitudo 7 nel 1976 e due ulteriori eventi nel 1991 e nel 2012.

L’ultimo terremoto (magnitudo 7.7), è stato 320 volte più forte del sisma di Amatrice e 44mila volte più potente di quello dei Campi Flegrei. In una simile zona, la prevenzione dovrebbe essere una priorità assoluta. Eppure, in molte aree del paese, soprattutto rurali, le abitazioni sono costruite con materiali deboli e tecniche arretrate, mentre anche nei contesti urbani, dove si trovano edifici più recenti, non sempre si rispettano gli standard antisismici moderni. La mancanza di risorse, la corruzione endemica e l’instabilità politica aggravano ulteriormente una situazione già ad alto rischio.

Proprio per questo, sottolinea ISI, è fondamentale ribadire che non è l’evento sismico in sé a provocare la tragedia, ma l’incapacità delle strutture di resistere alle sollecitazioni generate dal sisma. Gli edifici costruiti con criteri antisismici, pur oscillando anche vistosamente, non crollano. Al contrario, le costruzioni realizzate in modo inadeguato diventano trappole mortali

Prevenzione sismica in Italia: rischio sottovalutato e danni pagati a caro prezzo

Guardare al Myanmar dovrebbe suscitare riflessioni anche in Europa. Il rischio sismico riguarda vaste aree del nostro continente e, in particolare, l’Italia, uno dei Paesi europei più esposti. Il Comitato europeo delle Regioni, già nel 2018, ha segnalato l’urgenza di avviare piani di riqualificazione sismica del patrimonio edilizio, ricordando come la quantità di danni e di vittime dipenda soprattutto dalla qualità costruttiva degli edifici e non dalla magnitudo dei terremoti.

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I dati italiani sono noti ma restano spesso inascoltati: oltre il 70% del patrimonio edilizio italiano è stato costruito prima dell’entrata in vigore delle normative antisismiche (1981-1985).

Più in dettaglio:

  • il 18% degli edifici è stato costruito prima del 1919;
  • il 12% tra il 1919 e il 1945;
  • il 33% tra il 1946 e il 1971;
  • il 18% tra il 1972 e il 1981;
  • solo il 7% è stato realizzato dopo il 1992.

Una massa edilizia enorme, realizzata in un’epoca in cui il rischio sismico era spesso ignorato, e che oggi rappresenta una minaccia potenziale per milioni di persone.

Consapevolezza e prevenzione: due strade ancora poco battute

ISI sottolinea un paradosso diffuso: i cittadini conoscono spesso la classe energetica della propria abitazione, ma ne ignorano completamente il rischio sismico. Eppure, la valutazione di un tecnico specializzato sarebbe sufficiente per ottenere una diagnosi chiara e decidere se – e come – intervenire. Oggi esistono tecnologie e tecniche per adeguare sismicamente anche edifici molto datati. A scoraggiare gli interventi sono spesso i costi e l’invasività delle opere, anche se non intervenire oggi significa affrontare costi ben maggiori domani, senza contare le conseguenze umane, sociali e psicologiche di un disastro.

Basti pensare che l’Italia è un Paese che ha già pagato e continua a pagare le conseguenze dell’inadeguatezza sismica: dal 1968 tutti i cittadini italiani pagano ancora una tassa, sotto forma di accise sui carburanti, per coprire i costi della ricostruzione post-terremoto. Si tratta di 12 centesimi al litro, che nel tempo hanno generato un gettito totale di 261 miliardi di euro (fonte: Camera dei Deputati, dati 1968-2015).

Un dato che fa riflettere: evitare la spesa per rendere sicure le abitazioni non significa evitare il costo complessivo del terremoto, che torna puntualmente a pesare sulla collettività.

L’appello di ISI: agire, non osservare

Da qui l’appello dell’Associazione a smettere di osservare e basta gli effetti dei terremoti con fatalismo e impotenza, tenendo conto di tecnologie, conoscenze e soluzioni tecniche oggi disponibili; a mancare, piuttosto, è la volontà politica e culturale di fare della prevenzione sismica una priorità nazionale.

Invece di tremare davanti a ogni nuova scossa – conclude ISI – è tempo di avviare una vera e propria politica di mitigazione del rischio sismico, che guardi alla sicurezza dei cittadini, al risparmio futuro e a un uso più intelligente delle risorse pubbliche.

 

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