Terzo condono edilizio: la Cassazione sulla data di ultimazione dei lavori
La Corte di Cassazione si esprime sulla revoca di un ordine di demolizione per l'avvenuto rilascio di un condono edilizio risultato poi illegittimo
In materia edilizia, uno dei principi consolidati della giurisprudenza riguarda la revoca di un ordine di demolizione quando questo risulta assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività. Resta, però, fermo il potere-dovere del giudice di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio.
Ordine di demolizione e condono edilizio: interviene la Cassazione
Soprattutto il potere-dovere del giudice di verificare la legittimità dell'atto concessorio risulta un aspetto di fondamentale importanza, suscettibile di colpi di scena nei vari gradi di giudizio. L'argomento è stato (nuovamente) trattato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 9099 del 3 marzo 2023 resa in riferimento alla revoca di un ordine di demolizione per l'avvenuto rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ottenuto a seguito di istanza di condono edilizio ai sensi dell'art. 32 del Decreto Legge n. 269/2003 convertito con modificazioni in Legge n. 326/2003 (terzo condono edilizio).
Nel caso di specie, a seguito del l'avvenuto rilascio del permesso in sanatoria a norma della Legge n. 326 del 2003, il giudice dell'esecuzione aveva emesso l'ordinanza di revoca dell'ordine di demolizione disposto con sentenza irrevocabile.
Il ricorso
Il ricorso, in questo caso, è stato presentato dal Pubblico ministero che lo ha articolato sulla base di due motivazioni:
- col primo motivo viene lamentata l'erronea applicazione dell'art. 32, comma 25 della Legge 24 novembre 2003, n. 326, rilasciando un permesso di costruire in sanatoria su un immobile che era stato ultimato il 30 agosto 2004, ovvero successivamente al termine ultimo del 31 marzo 2003, utile ai fini del conseguimento del condono edilizio;
- col secondo motivo, viene rilevato che, a seguito di richiesta documentale integrativa da parte del Comune, detta documentazione era stata presentata tre anni dopo la richiesta, come da dichiarazioni del responsabile tecnico comunale.
La data di ultimazione dei lavori
I giudici di Cassazione hanno ricordato un principio ormai consolidato, anche perché previsto dalla norma sul terzo condono edilizio, tale per cui ove il reato sia stato accertato in data successiva al 31 marzo 2003, termine utile ai fini della condonabilità dell'opera, è onere dell'imputato provare che l'opera sia stata ultimata entro il predetto termine, fermo restando il potere - dovere del giudice di accertare la data effettiva del completamento dell'opera abusivamente eseguita.
Ciò rilevato, dalla documentazione prodotta, l'ultimazione delle opere appare avvenuta in epoca successiva al 31 marzo 2003 e comunque "in epoca antecedente e prossima alla data di un sopralluogo effettuato il 30 agosto 2004, in esito al quale ebbe origine il procedimento penale per abuso edilizio.
Il predetto sopralluogo aveva dato conto dell'esistenza di un fabbricato di vecchia fattura e "di consistenza incerta", mentre la Corte territoriale aveva riferito solo che, in sede di appello, la difesa aveva spiegato che l'indicazione della data di ultimazione dei lavori era stata fissata al 31 marzo 2003.
La Corte, in definitiva, non si sarebbe confrontata con l'onere in capo al richiedente condono di provare la data di ultimazione dei lavori.
Integrazione documentale
Relativamente alla seconda motivazione, la Cassazione ha preso atto che l'integrazione documentale richiesta dal Comune nel termine perentorio di tre mesi, era stata prodotta solo dopo tre anni. Fatto questo che avrebbe reso l'istanza di condono improcedibile ai sensi dell'art. 39, comma quarto, legge n. 724/1994 (secondo condono edilizio).
Secondo gli ermellini, dunque, non sarebbe stato rispettato il principio probatorio. L'ordinanza della Corte si sarebbe limitata a dare conto che non sussisteva prova documentale circa l'inadempimento di formale istanza di integrazione documentale, senza confrontarsi con le opposte dichiarazioni del responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune, secondo cui detta integrazione era stata soddisfatta dopo un triennio.
Per questo motivo, secondo la Cassazione non si presenta compiutamente esercitato il potere-dovere incombente sul Giudice dell'esecuzione, tenuto conto delle emergenze istruttorie ormai coperte dal giudicato e della più volte ricordata distribuzione dell'onere probatorio. Da qui ne è seguita l'ammissibilità del ricorso, l'annullamento dell'ordinanza impugnata e il rinvio al Tribunale, quale Giudice dell'esecuzione, per nuovo giudizio.
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 3 marzo 2023, n. 9099IL NOTIZIOMETRO