Testo Unico Edilizia e stato legittimo: il TAR sul principio del tempus regit actum
I regimi “repressivi” dell’attività edilizia si applicano per il futuro e non già per le opere realizzate antecedentemente alla loro introduzione
L’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), introdotto dal D.L. n. 76/2020 (Decreto Semplificazioni), convertito con modificazioni dalla Legge n. 120/2020, e recentemente modificato dal D.L. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa), convertito con modificazioni dalla Legge n. 105/2024, definisce le modalità per ricavare lo stato legittimo degli immobili e delle unità immobiliari, compresi quelli realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio.
Stato legittimo: interviene il TAR
Lo "stato legittimo", benché introdotto solo nel 2020, si riferisce alla legittimità delle costruzioni alla luce delle norme vigenti al momento della loro realizzazione. Concetto questo che è passato sotto la lente d’ingrandimento del TAR Puglia che, con la sentenza 12 luglio 2024, n. 844, ha chiarito che per gli edifici storici, lo "stato legittimo" può essere desunto da un insieme di documenti e titoli coevi alla costruzione, anche se non completamente disponibili.
Il caso oggetto dell’intervento del TAR riguarda il ricorso presentato da alcuni residenti nelle vicinanze del Castello di Bari e numerose associazioni e comitati operanti nel campo della tutela ambientale, paesaggistica e dei beni culturali, per l’annullamento del decreto del competente Provveditorato alle opere pubbliche, recante valutazione della compatibilità del progetto di costruzione del nuovo plesso adiacente all’edificio dell’ex ufficio del Genio civile per le opere marittime, eretto in area demaniale negli anni ’50, in zona con vincolo di tutela monumentale indiretta, imposto con DM 15 maggio 1930, per finalità di ampliamento organizzativo e funzionale della sede di Bari.
I ricorrenti hanno chiesto di accertare e dichiarare che l’edificio fu costruito negli anni ‘50 su area di sedime interessata dal vincolo di tutela indiretta, a protezione della cornice paesaggistica del Castello medioevale di Bari, in violazione del diniego di nulla-osta dell’allora competente Ministero della Pubblica istruzione, reso con parere del 31 luglio 1954, al fine di disporre la demolizione del vecchio edificio (abusivo) e delle successive opere di ampliamento illegittimamente autorizzate, e di annullare il decreto del Provveditorato interregionale del 30 ottobre 2019, unitamente ai sottostanti atti della conferenza dei servizi decisoria, ivi compresi i pareri tutti positivi, resi dagli enti coinvolti nella riedizione del procedimento autorizzatorio, per come sollecitato da una sentenza del Consiglio di Stato.
Viene chiesto, dunque, di accertare l’abusività dell’opera, con la conseguente richiesta di condanna alla demolizione sia del vecchio edificio, risalente agli anni ’50 del XX sec., sia del nuovo plesso di ampliamento funzionale.
I rilievi
I giudici di primo grado hanno preliminarmente rilevato:
- che i lavori non hanno interessato il manufatto già insistente sull’area che, dunque, non ha subito alcun “ampliamento” in senso tecnico (ossia di volumetria, nuovi piani, redistribuzione degli spazi con aumento della superfice o di volume), bensì si è proceduto alla realizzazione di un distinto e autonomo manufatto, dotato di impianti tecnologici autonomi, che lo rendono indipendente dal preesistente fabbricato, con il quale risulta collegato tramite un essenziale “corpo ponte”, onde consentire al personale in servizio maggiore agibilità all’interno degli uffici;
- che il manufatto esistente e risalente agli anni ‘50 del XX secolo, già sede dell’Ufficio del genio civile per le opere marittime, non è affatto abusivo.
Relativamente a quest’ultimo punto i giudici rilevano che il manufatto esistente è stato realizzato con le tecniche progettistiche e di rilievo dei luoghi dell’epoca, che possedevano una capacità di precisione, evidentemente minore rispetto a quella della strumentazione più evoluta oggi comunemente a disposizione dei tecnici nel campo dell’edilizia.
Dalla ricerca negli archivi sono stati rinvenuti diversi documenti illustrativi dell’opera, depositati nel processo dall’Avvocatura erariale, dai quali è emerso che, dopo un primo parere non favorevole del 31 luglio 1954, la costruzione fu arretrata. L’Ufficio del Genio civile per le opere marittime di Bari presentò un nuovo progetto, in relazione al quale venne quindi acclarata dall’allora Sovraintendenza regionale ai monumenti e alle gallerie la piena compatibilità con il vincolo di cui al DM 15 maggio 1930.
L’evoluzione della normativa edilizia
Ciò premesso, il TAR ha evidenziato che il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico Edilizia) è stato redatto sulla base dell’art. 7, comma 1, e dell’allegato III, lett. b), della legge 8 marzo 1999, n. 50, tra i cui criteri direttivi v’era il “coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo”.
I giudici hanno rilevato che il TUE, ai sensi dell’art. 138, è entrato in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2002. In realtà, occorre ricordare che il TUE è rimasto efficace dall’1 al 9 gennaio 2002, poi la legge 31 dicembre 2001, n. 463 di conversione del D.L. 23/11/2001 n. 411 (G.U. 09/01/2002) ne ha differito l’efficacia al 30/06/2002 che è stata ulteriormente differita al 30 giugno 2003 dalla legge 1 agosto 2002, n. 185 di conversione del D.L. 20 giugno 2002, n. 122.
Ad ogni modo, tutte le disposizioni del TUE, nella loro interezza e contemporaneità, si applicano a partire dal 1° gennaio 2002, mentre, per le epoche precedenti, deve aversi riguardo al regime giuridico vigente e per come si è successivamente evoluto nel tempo, fino a giungere al predetto testo unico “compilativo” e alle successive modificazioni apportate.
Dalla legge urbanistica alla legge Ponte
Nel caso di specie, il manufatto è stato realizzato negli anni ’50 quando era vigente la Legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) nel suo testo pressoché originario. L’art. 26 della legge n. 1150/1942 prevedeva un procedimento di repressione dei c.d. “abusi edilizi”, secondo cui le diverse autorità preposte potessero (e non già dovessero) disporre la sospensione e/o la demolizione delle opere. Mentre, lo jus aedificandi era ritenuto un carattere immanente del diritto di proprietà, fino alla legge 8 gennaio 1977, n. 10 (c.d. legge Bucalossi). È poi solo con la legge 28 febbraio 1985, n. 47 che i poteri repressivi assumeranno una configurazione imperativa, che è rimasta pressoché invariata fino all’attuale testo unico costituito dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Nel dettaglio, il citato art. 26 della Legge urbanistica recitava (nel testo originario): “Quando vengono eseguite opere non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore comunale, il Ministro dei lavori pubblici, ove il Comune non provveda, potrà, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, disporre la sospensione o demolizione delle opere stesse”. Il potere officioso di repressione demolitoria era, dunque, riconnesso alla presenza di un P.R.G. e veniva per lo più interpretato all’epoca come discrezionale. In tal senso depone pure il tenore delle disposizioni, di cui al testo originario dell’art. 32 (“Attribuzione del podestà per la vigilanza sulle costruzioni”) sempre della legge 17 agosto 1942 n. 1150, specie con riferimento al potere officioso di demolizione e ripristino.
L’art. 6 della Legge 6 agosto 1967 n. 765 (Legge Ponte), nel modificare l’art. 26, comma 1, della Legge n. 1150/1942, disponeva (nel testo originario): “Quando siano eseguite, senza la licenza di costruzione o in contrasto con questa, opere non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore, del programma di fabbricazione od alle norme del regolamento edilizio, il Ministro per i lavori pubblici per i Comuni capoluoghi di Provincia, o il provveditore regionale alle opere pubbliche, per gli altri Comuni, possono disporre la sospensione o la demolizione delle opere, ove il Comune non provveda nel termine all’uopo fissato. I provvedimenti di demolizione sono emessi, previo parere rispettivamente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Comitato tecnico amministrativo, entro cinque anni dalla dichiarazione di abitabilità o di agibilità e per le opere eseguite prima dell'entrata in vigore della presente legge entro cinque anni da quest'ultima data”.
Di conseguenza, il potere di repressione fu “allargato” anche alle difformità rispetto ai (semplici) programmi di fabbricazione o ai regolamenti edilizi, ma, per le opere realizzate antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge 6 agosto 1967 n. 765, poteva procedersi “entro cinque anni”.
Il principio del tempus regit actum e lo stato legittimo
La giurisprudenza del tempo (Cons. St., Ad. plen., 17 maggio 1974 n. 5) fin da subito ebbe modo di chiarire che vige in materia il fondamentale principio del tempus regit actum e che, quindi, i regimi “repressivi” dell’attività edilizia non già assentita, nelle forme di legge, per come via via “rafforzati” nella legislazione succedutasi nel tempo, valessero per il futuro e non già per le opere realizzate antecedentemente alla loro introduzione. Ciò nella specie coerentemente alla natura amministrativa sanzionatoria di siffatte misure repressive.
Tali considerazioni si annodano a doppio filo con la giurisprudenza sullo stato legittimo dell’immobile, secondo la quale, per gli immobili risalenti nel tempo, dal coacervo dei titoli e atti di assenso o documenti, amministrativi e tecnici, coevi alla costruzione, non già atomisticamente considerati, bensì complessivamente apprezzati, deve ricavarsi, anche in via indiziaria, il c.d. stato legittimo dell’immobile.
Lo stato legittimo, in virtù dell’art. 9-bis, comma 1-bis, ultima parte, del d.P.R. n. 380/2001, è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza. Detta disposizione, per espressa previsione della disposizione normativa, si applica non solo alle ipotesi in cui non era in tempi molto risalenti obbligatorio acquisire il titolo edilizio, ma anche tutte le volte in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo, del quale non sia ricostruibile una più precisa contezza.
Dunque, sia in carenza di titolo edilizio, sia nel caso di rinvenimento soltanto parziale del titolo o di altri titoli correlati all’intervento edilizio, specie se pubblici (o comunque sia prodotti al tempo ad autorità pubbliche in data certa), che descrivano, con la tecnica e la prassi dell’epoca, l’immobile in discussione nelle sue fattezze e consistenze essenziali, deve potersene ricavare lo “stato legittimo”.
Conclusioni
Nel caso di specie, alla luce delle suddette considerazioni, non sussisterebbe alcun abuso, con riferimento all’antico plesso dell’Ufficio del genio civile per le opere marittime di Bari, che fu realizzato in loco individuato, con elementari tecniche di misurazione dell’epoca, in zona al margine estremo della zona sottoposta al vincolo solo indiretto (e cioè non preclusivo in assoluto), posto dal DM 15 maggio 1930, e comunque insistente, per quanto concerne il caso di specie, su spazi aperti. In ogni caso, il manufatto è stato realizzato in obbedienza al regime urbanistico-edilizio del tempo, per come consolidatosi, e se ne è data sufficiente contezza quanto al suo c.d. stato legittimo.
Concludendo, la domanda giudiziale è stata dichiarata inammissibile e priva di fondamento.
Documenti Allegati
Sentenza TAR Puglia 12 luglio 2024, n. 844IL NOTIZIOMETRO