Truffe Superbonus: no al sequestro dei beni se i crediti fittizi non vengono riscossi

La sentenza della Corte di Cassazione: fino a quando i crediti sono nel cassetto fiscale e non sono riscossi non si configura il reato di truffa aggravata

di Redazione tecnica - 19/06/2024

Solo quando i crediti d’imposta inesistenti, derivanti ad esempio da interventi Superbonus, sono stati materialmente riscossi o compensati può dirsi realizzato il reato di truffa ai danni dello Stato, per essersi verificata la concreta perdita del denaro, erogato a rimborso di un credito fittizio, ovvero non incassato per effetto di compensazione con un credito fittizio.

Di conseguenza, se il reato di cui all'art. 640-bis cod. pen. è configurabile solo con riguardo alle operazioni fraudolente nelle quali il credito fittizio è stato riscosso o utilizzato in compensazione, non è possibile applicare il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente nel caso di crediti generati e presenti nel cassetto fiscale, ma non riscossi.

Crediti d'imposta inesistenti e sequestro preventivo per equivalente: il no della Cassazione

Richiama i principi in materia di truffa e di consumazione del reato la sentenza della Corte di Cassazione dell’11 giugno 2024, n. 23402, con cui gli ermellini hanno annullato e disposto il rinvio a nuovo esame di un’ordinanza contro un tecnico asseveratore:

  • di sequestro preventivo di 29mila euro, somma corrispondente alla parcella per (false) attestazioni sul regolare compimento di opere appaltate e fatturate, presupposto per la generazione del credito di imposta da c.d. "superbonus" in capo alla società appaltatrice
  • di sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente, di 546mila euro, corrispondenti al profitto del reato, quantificato nei proventi conseguiti dalla società appaltatrice mediante le cessioni a terzi di crediti di imposta generati mediante le false attestazioni, per un valore nominale di quasi 686mila euro.

Secondo il ricorrente, l'ordinanza ha erroneamente configurato il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, ritenendo sufficiente, ai fini della sua consumazione, il riconoscimento del credito d'imposta da parte dell'Agenzia delle Entrate, con conseguente ingresso nel cassetto fiscale del (formale) titolare, e irrilevante, invece, l'utilizzo di tale credito mediante compensazione. Non sarebbe invece ipotizzabile il reato di truffa aggravata, per la cui consumazione occorre un danno patrimoniale in senso economico.

Sempre secondo la parte ricorrente, la confisca per equivalente non è prevista con riguardo al tentativo e secondo un principio affermato anche dalle Sezioni Unite, «quando il legislatore indica nominativamente un determinato delitto, intende riferirsi solo al delitto consumato, mentre, quando richiama una categoria di delitti non specificati, si riferisce sia a quelli consumati che a quelli tentati».

No al sequestro per equivalente nel caso di tentata truffa

Una tesi condivisa dagli ermellini: il sequestro per equivalente è illegittimo perché, nel caso in esame non sono configurabili né il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato di cui all'art. 640, secondo comma, numero 1, cod. pen., né il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis cod. pen., ossia le uniche fattispecie che rendono ammissibile tale tipo di misura cautelare, a norma dell'art. 640-quater cod. pen.

Si segnala, in particolare, che i primi due reati non sono configurabili nella forma consumata, ma semmai nella forma tentata, perché, nella vicenda in esame, non si è verificato alcun pregiudizio patrimoniale ai danni dello Stato: le condotte hanno determinato la nascita di un credito nei confronti dello Stato, ma non (ancora) un'effettiva perdita economica per lo stesso, verificandosi questa solo a seguito della riscossione del credito o del suo utilizzo mediante compensazione.

Estranei al catalogo dei reati per i quali l'art. 640-quater cod. pen. prevede la confisca per equivalente, quindi, sono i delitti di truffa consumata diversi da quelli previsti dall'art. 640, secondo comma, numero 1, cod. pen., e dall'art. 640- bis cod. pen., e, in generale, tutti i delitti di truffa tentata, anche se riferiti alle fattispecie appena indicate.

Sul punto, ricordano i giudici di Piazza Cavour, l'autonomia del delitto tentato rispetto al delitto consumato costituisce principio generale consolidato, affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite proprio in tema di applicazione della confisca.

Ai fini della consumazione del reato di truffa, non è sufficiente l'assunzione di un debito da parte del raggirato, ma è necessaria l'effettiva perdita del bene oggetto dell'obbligazione da parte del medesimo soggetto, attesa la previsione del requisito del "danno".

Il principio è stato affermato in maniera espressa dalle Sezioni Unite con riferimento alla truffa realizzata mediante titoli di credito: «Poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell'ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l'oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell'agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa».

L’ordinanza ha sì ritenuto consumato il reato a seguito del riconoscimento del credito di imposta, siccome immediatamente monetizzabile, ma avendo riguardo alla diversa figura delittuosa della indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all'art. 316-ter cod. pen.

L'ordinanza impugnata ritiene configurato il reato di cui all'art. 640-bis cod. pen. in ragione della costituzione del credito fiscale fittizio, a seguito della falsa asseverazione effettuata dall'attuale ricorrente in ordine al regolare compimento delle opere per le quali è previsto il riconoscimento fiscale del c.d. "superbonus", e della successiva cessione di tale credito a terzi, affermando inoltre espressamente che è irrilevante per la consumazione della fattispecie l'utilizzo dello stesso in compensazione.

Il Tribunale ha ritenuto che il profitto del reato corrisponda al ricavato delle cessioni a terzi dei crediti fittiziamente generati; ed è per questa ragione che ha confermato il sequestro a fini di confisca per equivalente fino a concorrenza del loro valore.

Il danno nei confronti dello Stato si configura quando il credito è monetizzato

Si tratta di una soluzione errata in quanto:

  • solo quando i crediti ceduti sono stati materialmente riscossi o compensati può dirsi realizzato il danno per lo Stato, per essersi verificata la concreta perdita del denaro, siccome erogato a rimborso di un credito fittizio ovvero non incassato per effetto di compensazione con un credito fittizio
  • solo quando si è realizzato il danno per lo Stato è configurabile il reato di truffa ex art. 640-bis cod. pen.;
  • prima del verificarsi del danno per lo Stato, può sussistere solo il tentativo del reato di cui all'art. 640-bis cod. pen., o, eventualmente, la truffa in danno dei cessionari.

Di conseguenza, se il reato di cui all'art. 640-bis cod. pen. è configurabile solo con riguardo alle operazioni fraudolente nelle quali il credito fittizio è stato riscosso o utilizzato in compensazione, il relativo profitto corrisponde esclusivamente ai proventi conseguiti attraverso le cessioni dei crediti d'imposta fittizi alle quali siano seguiti la riscossione o l'utilizzo mediante compensazione di tali crediti.

Da qui l’annullamento dell’ordinanza, con rinvio per un nuovo giudizio, al fine di accertare l'entità dei proventi conseguiti attraverso le cessioni dei crediti fittizi alle quali siano seguiti la riscossione o l'utilizzo mediante compensazione di tali crediti. Solo questi proventi, infatti, possono essere qualificati come profitto del reato di cui all'art. 640-bis cod. pen., e solo in relazione ad essi, quindi, è consentita dall'art. 640 -quater cod. pen. la confisca per equivalente, premessa necessaria per l'applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo ex art. 321, commi 2 e 2 -bis, cod. proc. pen.

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