Veranda sul balcone: ci vuole il consenso del proprietario
Nel caso di balcone aggettante, una veranda non può essere costruita senza il consenso del proprietario dell’unità immobiliare sovrastante
La veranda sul balcone, uno dei must dell’edilizia italiana. Oltre che un classico degli abusi edilizi, effettuati spesso senza permesso di costruire, oltre che senza consenso del condominio e del proprietario del balcone sovrastante.
Veranda abusiva sul balcone, la sentenza del Consiglio di Stato
Ed è proprio sul confine sottile tra diritto amministrativo e privatistico che si consuma il nuovo caso affrontato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6593/2022, inerente l’appello contro l’annullamento in autotutela di una SCIA in variante e del conseguente ordine di demolizione stabilito da un’Amministrazione comunale, relativi alla realizzazione di una veranda su un balcone aggettante.
Nel valutare il caso, Palazzo Spada ha preliminarmente ricordato che per balconi aggettanti si intendono quelli che, sporgendo dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono. Essi non svolgono alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura dell’edificio, non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani, ma sono di proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono.
Ed è qui l’inghippo in cui è incorso il responsabile dell’abuso: la struttura da realizzare in ampliamento risultava “ancorata stabilmente” alla soletta del balcone superiore aggettante, di proprietà esclusiva del condomino a cui accedeva il balcone stesso, per cui il fatto che non esistesse un’autorizzazione a procedere è rilevante.
Balcone aggettante fa parte dell'appartamento a cui accede
Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, il Comune non può esimersi dal verificare il rispetto, da parte dell’istante, dei limiti privatistici sull’intervento proposto, nel caso in cui essi siano realmente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, così che il controllo da parte dell'amministrazione si traduce in una mera presa d’atto, senza necessità di procedere a un’accurata e approfondita disamina dei rapporti tra privati.
In questo caso, il limite privatistico legato alla proprietà del piano superiore appare con immediatezza, desumibile dalla natura dell’intervento, oltre che chiaramente esplicitato dal terzo proprietario alla stessa amministrazione.
Di conseguenza, secondo il Consiglio di Stato, l’annullamento in autotutela è assolutamente legittimo per un intervento di ampliamento della superficie e del volume dell’appartamento condominiale “con evidente pregiudizio attuale e permanente, anche del preminente decoro urbano, considerato il notevole impatto visivo, nonché l’irreversibile alterazione e la grave disarmonia della sagoma e degli elementi prospettici dell’immobile condominiale".
Ordine di demolizione è conseguente ad annullamento titolo edilizio
Allo stesso modo, la conseguente ordinanza di demolizione è legittima: con l’annullamento della S.C.I.A. alternativa a permesso di costruire, l’opera risultava priva del suo titolo e dunque abusiva.
Non solo: non era possibile nemmeno procedere con la “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio ai sensi dell’art. 38 del T.U. edilizia perché essa attiene ai soli vizi “che riguardano forma e procedura”. Peraltro, spiega il giudice amministrativo, quando “l’annullamento del titolo sia intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo …la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo”.
Il ricorso è stato quindi respinto in toto, confermando la legittimità dell’annullamento in autotutela dell SCIA per mancata autorizzazione a procedere da parte del condomino proprietario del balcone soprastante, oltre che dell’ordine di demolizione per conseguente abusività dell’opera.
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