Verande e pertinenze: 3 condizioni per escludere l'abuso edilizio
Il Consiglio di Stato ricorda le 3 condizioni per ammettere una veranda come pertinenza e si esprime sulla valutazione dei diversi abusi edilizi
Verande, pergotende, pergolati, tettoie, gazebo e, in generale, quelle che spesso sono considerate "strutture leggere" nascondono delle insidie sulle quali è sempre opportuna una valutazione caso per caso.
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Verande e abusi edilizi: interviene il Consiglio di Stato
Lo dimostra, ancora una volta, il Consiglio di Stato con la sentenza 28 giugno 2023, n. 6301 che interviene per rispondere all'appello presentato per la riforma di una decisione di primo grado su cui, tra le altre cose, vi è un contro ricorso da parte della amministrazione.
Andiamo con ordine. In primo grado l'appellante aveva impugnato l'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi emessa relativamente:
- all'ampliamento dell’abitazione di mq. 76,00 x m. 2,50 h, mediante installazione di una veranda in legno lamellare e vetri;
- alla demolizione e ricostruzione della pavimentazione del terrazzo di copertura;
- alla diversa distribuzione delle pareti divisorie interne e delle aperture;
- al rifacimento degli impianti tecnologici;
- alla messa in opera di una vasca per l’approvvigionamento idrico.
I giudici del Tribunale Amministrativo Regionale avevano accolto in parte il ricorso e annullando il provvedimento demolitorio limitatamente alle opere diverse dalla installazione della veranda in legno lamellare e vetri. Secondo il TAR, quest’ultima opera, “per le dimensioni obiettivamente non esigue (trattasi di volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale) e l’assenza dei requisiti della precarietà e della facile amovibilità” integrerebbe un intervento di ristrutturazione edilizia, necessitante, come tale, del permesso di costruire.
Il ricorso al Consiglio di Stato
Quindi il ricorso in secondo grado in cui l'appellante contesta:
- l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la natura pertinenziale della veranda;
- l’omessa pronuncia in relazione all’applicabilità della sanzione alternativa (fiscalizzazione dell'abuso) ai sensi dell’art 34, comma 2 del d.P.R. n. 380/01 (Testo Unico Edilizia).
Relativamente al primo punto, l'appellante sostiene di aver realizzato la veranda al solo fine di “alleggerire” il carico del terrazzo di pertinenza del suo appartamento, sotto la cui pavimentazione era stato realizzato un massetto di circa 45 cm di spessore, che aveva incrementato il peso portato dal solaio, con grave rischio per la stabilità dell’intero edificio.
Oltretutto, sempre secondo l'appellante:
- l’opera realizzata era munita di regolare autorizzazione del Genio Civile ma non necessitava di ulteriori titoli abilitativi, in quanto non ha comportato la realizzazione di un organismo edilizio nuovo e diverso dal precedente, né modifiche della volumetria complessiva o dei prospetti (concetti per cui non si sarebbe potuto qualificare l'opera come ristrutturazione edilizia);
- l’opera costituirebbe una mera pertinenza dell’edificio principale, come tale rientrante nel regime dell’edilizia libera.
Per quanto concerne il secondo motivo di appello, secondo l'appellante la realizzazione della veranda costituirebbe al più una difformità parziale rispetto alla concessione edilizia, in quanto le modifiche apportate al progetto originario incidono su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzano in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera; l’abuso, dunque, era sanzionabile al più con la sanzione pecuniaria e non con quella ripristinatoria, così come prevede l'art. 34, comma 2 del T.U. Edilizia.
Il concetto di pertinenza: 3 condizioni da verificare
Diversa è l'interpretazione del Consiglio di Stato per il quale la realizzazione del manufatto costituisce un vero e proprio ampliamento dell’abitazione principale e per questo non qualificabile come pertinenza.
I giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che ai fini urbanistici ed edilizi il concetto di pertinenza ha un significato del tutto diverso rispetto alla nozione civilistica e si fonda sulla assenza di:
- autonoma destinazione del manufatto pertinenziale;
- incidenza sul carico urbanistico;
- modifica all’assetto del territorio.
Condizioni non verificate nel caso di specie considerato che il manufatto in questione ha un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale ed ha una sicura incidenza sul carico urbanistico, tanto è vero che il provvedimento impugnato si esprime nel senso di “ampiamento dell’abitazione”.
I giudici del Consiglio di Stato hanno ricordato una giurisprudenza pacifica per cui "ai sensi dell'art. 10, comma l, lettera c), del testo unico dell'edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001), le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee, comportino mutamenti della destinazione d'uso (ristrutturazione edilizia). Ebbene, le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, trattandosi di strutture fissate in maniera stabile al pavimento che comportano la chiusura di una parte del balcone, con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire, non costituendo una pertinenza in senso urbanistico. La veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie”.
Trattandosi di un ampliamento volumetrico, sia l'amministrazione che il TAR hanno ricondotto l’intervento nell’alveo della ristrutturazione edilizia, per la quale era necessario munirsi del permesso di costruire. Ne deriva che, correttamente, è stata disposta la sanzione demolitoria.
Ampliamenti volumetrici: niente sanzione alternativa
Relativamente alla mancata fiscalizzazione dell'abuso edilizio così come prevede l'art. 34, comma 2 del Testo Unico Edilizia, il Consiglio di Stato ha ricordato che "La difformità parziale dal permesso di costruire è una categoria residuale e presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale. Si è, pertanto, in presenza di difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera”.
Nel caso di specie, è evidente che la realizzazione di un locale del tutto nuovo in ampliamento del preesistente appartamento non rientra nella nozione di difformità parziale accolta dal suddetto orientamento giurisprudenziale.
L'appello dell'amministrazione
In secondo grado ha presentato appello anche il Comune nella parte che lo ha visto soccombente, e precisamente dove il TAR si è espresso nel senso che:
- il rifacimento della pavimentazione del terrazzo di copertura, che tra l’altro è stato realizzato ai fini del miglioramento per la tenuta statica dell’edificio, rientra nell’attività edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e)-ter, del DPR 380/2001, che contempla “le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni”;
- la diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell’edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria, soggetta al regime della comunicazione di inizio lavori, originariamente, in forza dell’art. 6, comma 2, ed ora dell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/01;
- pertanto, l’omessa comunicazione non può giustificare l’irrogazione della sanzione demolitoria.
Secondo il Comune:
- la contestata pavimentazione del solaio ne ha comportato un mutamento di destinazione d’uso, da un solaio di copertura non praticabile a terrazzo, che avrebbe richiesto l’ottenimento di un permesso di costruire. La trasformazione di un tetto di copertura in terrazzo calpestabile modifica infatti gli elementi tipologici formali e strutturali dell’organismo preesistente, risolvendosi in ultima analisi in una alterazione di prospetto e sagoma dell'immobile, e quindi, non rientra nella categoria del restauro e risanamento conservativo, bensì in quella della ristrutturazione edilizia;
- il TAR avrebbe errano nel considerare atomisticamente i singoli interventi realizzati dall’appellante principale, in quanto nel caso di specie la rimozione del massetto e la successivamente pavimentazione erano strumentali al rifacimento del terrazzo e alla realizzazione della veranda da destinarsi a sala hobby abusiva, pertanto tutti i lavori sono stati correttamente sanzionati dal Comune con l’ordine di demolizione;
- anche gli ulteriori abusi contestati avrebbero dovuto essere considerati unitariamente, in quanto anche la diversa sistemazione degli spazi interni era funzionale al progetto di ristrutturazione edilizia, così come il rifacimento di impianti e posa vasca per l’approvvigionamento;
- la sanzione della demolizione, in ultima istanza, costituiva atto dovuto in applicazione dell’art 32 del D.P.R. 380/01. La possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria attiene infatti alla fase dell’esecuzione dell’ordine di ripristino e presuppone che il privato fornisca la prova dell’impossibilità di demolire senza nocumento per la restante parte (legittima) dell’immobile.
La valutazione globale dell'abuso
Esiste un principio consolidato della giurisprudenza per il quale l'abuso edilizio va sempre considerato "globalmente". A questo principio il Consiglio di Stato ha aggiunto che la valutazione globale dei singoli interventi “si giustifica soltanto nel caso in cui l'amministrazione accerti l'esistenza di lavori che hanno una cosi stretta interdipendenza da risultare sostanzialmente di valenza unitaria”.
Ciò premesso, sono condivisibili le affermazioni del TAR, secondo le quali la pavimentazione del terrazzo di copertura rientra nell’attività edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e) -ter, del DPR 380/2001, mentre la diversa distribuzione degli ambienti interni all’appartamento rientra fra le attività di manutenzione straordinaria, soggetta a semplice comunicazione di inizio lavori asseverata, ai sensi dell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/01.
Parimenti, l’irrogazione della sanzione ripristinatoria non si giustifica in relazione al rifacimento degli impianti tecnologici e la messa in opera della vasca per l’approvvigionamento idrico, posto che si tratta di interventi volti a mantenere in efficienza gli impianti tecnologici, che non richiedono alcun titolo edilizio (cfr. art 6 lett. a) D.P.R. 380/01).
Tali interventi hanno una loro autonomia funzionale e possono prescindere l’uno dall’altro, così come risultano potenzialmente indipendenti anche rispetto alla realizzazione della veranda di cui è stata invece giustamente ordinata la demolizione.
Per le ragioni esposte, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del Comune.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 28 giugno 2023, n. 6301IL NOTIZIOMETRO