Clausole revisione prezzi: i limiti imposti dal Codice Appalti
La revisione dei prezzi è consentita alle sole condizioni indicate nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili e senza alterare la natura generale del contratto
La sentenza del TAR
Il ricorso è stato respinto: al di fuori di una disciplina contrattuale o normativa specifica più stringente, la revisione dei prezzi non costituisce né un dovere in capo all'amministrazione, né un diritto del fornitore ma un'evenienza rimessa al raggiungimento di un comune accordo delle parti.
Le modifiche contrattuali dell'art. 106, comma 2 (e dal comma 1, lett. c) sono previste dal legislatore come praticabili da parte dell'amministrazione committente, unica titolare del potere di modifica, ed è rimessa all'appaltatore soltanto la facoltà di accettarle o meno, salvo che, in presenza di determinate situazioni, sia obbligato a sottostarvi: in sintesi, sono modifiche possibili, ma che presuppongono l'accordo tra le parti, promosso però dalla stazione appaltante e regolato dalla legge nel preminente interesse del mercato e della concorrenza, nonché al fine di delimitare lo ius variandi del committente pubblico.
Esula dall'ambito applicativo dell'art. 106, comma 2 (e comma 1, lett. c) l'iniziativa dell'appaltatore volta ad ottenere la modifica dei prezzi contrattuali reputati non più remunerativi.
Ciò precisato, non può escludersi che l'impresa appaltatrice formuli una richiesta di modifica contrattuale che l'amministrazione potrebbe accettare in quanto rispettosa delle condizioni dell'art. 106, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, ma la relativa pretesa, se respinta dall'amministrazione, non è tutelabile in giudizio invocando l'applicazione di quella norma.
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