Condono edilizio: come e quando si applica il silenzio-assenso?
Il TAR chiarisce l’ambito di applicazione del perfezionamento del silenzio assenso nel caso di permesso di costruire in sanatoria ottenuto a seguito di condono edilizio
Le conclusioni del TAR
In linea generale, il TAR Lazio, quanto alla questione di carattere generale sul perfezionamento del silenzio assenso, giunge alle seguenti conclusioni:
- la c.d. concezione sostanziale dell’istituto vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda;
- ritenere che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità e tale trattamento differenziato opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della pubblica amministrazione.
- l’ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe inoltre in contrasto con il principio di «collaborazione e buona fede» (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione (ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990) e tradirebbe la ratio dell’istituto, che costituisce uno specifico “rimedio” messo a disposizione dei privati a fronte della inerzia della medesima Amministrazione;
- che il silenzio-assenso si formi anche quando l'attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme è confermato da puntuali ed univoci indici normativi con il quali il legislatore ha inteso chiaramente sconfessare la tesi secondo cui la possibilità di conseguire il silenzio assenso sarebbe legato, non solo al decorso del termine, ma anche alla ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo;
- in particolare, l’espressa previsione della annullabilità d’ufficio anche nel caso in cui il «provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20», presuppone evidentemente che la violazione di legge non incide sul perfezionamento della fattispecie, bensì rileva (secondo i canoni generali) in termini di illegittimità dell’atto;
- l’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dal decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020) - nella parte in cui afferma che «Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, […] sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni» - conferma che, decorso il termine, all’Amministrazione residua soltanto il potere di autotutela;
- l’art. 20, comma 2-bis, prevedendo che «Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo […]», stabilisce, al fine di ovviare alle perduranti incertezze circa il regime di formazione del silenzio-assenso, che il privato ha diritto ad un’attestazione che deve dare unicamente conto dell’inutile decorso dei termini del procedimento (in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie rimaste inevase e di provvedimenti di diniego tempestivamente intervenuti);
- l’abrogazione dell’art. 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (per effetto della legge n. 124 del 2015, c.d. legge Madia), che assoggettava a sanzione coloro che avessero dato corso all’attività secondo il modulo del silenzio assenso, «in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente», rafforza la concezione formale dell’istituto.
Il potere (primario) di provvedere si consuma con il decorso del termine procedimentale, fermo restando, in caso di provvedimento abilitativo tacito in contrasto i requisiti di validità della fattispecie, il potere (secondario) della pubblica amministrazione di intervenire in via di autotutela e l’eventuale esperimento, da parte del terzo controinteressato, dell’azione di annullamento del silenzio assenso avente carattere provvedimentale.
Concludendo, nel caso oggetto della sentenza, il silenzio assenso sull’istanza di condono, considerata la completezza della documentazione, si è perfezionato il 16/06/2009, trascorsi 36 mesi dal versamento dell’ultima rata degli oneri concessori (16/06/2006), ben prima dunque della notifica del preavviso di rigetto del 11/06/2013.
La consumazione del potere primario di provvedere, pertanto, comporta l’irrilevanza della fase istruttoria tardivamente avviata, con conseguente inefficacia del provvedimento di rigetto adottato ex art. 2, comma 8 bis, l. n. 241/90.
Documenti Allegati
Sentenza TAR Lazio 26 aprile 2024, n. 8282IL NOTIZIOMETRO