La contrattazione collettiva nel nuovo Codice Appalti: criticità e soluzioni

Il Codice dei contratti ha fissato l'obbligo per la S.A. di applicare il CCNL in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro. Restano ancora dei dubbi applicativi

di Alessandro Boso - 24/06/2024

Le indicazioni della recente giurisprudenza

Sono poche le sentenze che hanno già affrontato le criticità connesse alla nuova previsione di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 36/2023; peraltro le uniche pronunce sul tema paiono confermare un clima di incertezza sul nuovo obbligo di indicare il CCNL applicabile all’appalto.

Significativa la recente sentenza n. 2137 del Tar Catania datata 6 giugno scorso, con sui si è affermato che la omessa indicazione nella lex specialis del contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato, non precluderebbe tout court la possibilità per gli operatori di formulare un’offerta adeguata.

La pronuncia stupisce, in quanto si pone in netta contrapposizione con il dato letterale dell’art. 11, D.Lgs. n. 36/2023; tuttavia, essa sembra in linea con gli orientamenti precedenti e con il principio di libertà di iniziativa economica, citato anche nella relazione illustrativa al Codice.

Nella sentenza si legge infatti che l’omissione risulterebbe irrilevante ai fini partecipativi in quanto l’operatore, ai sensi dell’art. 11, commi 1 e 3, potrebbe comunque indicare un differente contratto, a condizione che questo assicuri un certo standard di tutela. Ma come individuare tale standard di tutela non viene indicato, lasciando aperta la questione se risulterebbe sufficiente la coerenza del contratto nazionale applicato con l’oggetto dell’appalto posto in gara.

Peraltro, la medesima sentenza si spinge fino a ritenere irrilevante anche la mancata quantificazione del costo del lavoro, che si potrebbe ricavare, secondo il giudice, dalle tabelle ministeriali. Anche tale punto non sembra convincente, posto che la correttezza della base d’asta non può prescindere da una stima delle ore di lavoro e dalle professionalità richieste per l’esecuzione dell’appalto.

La necessità di non attribuire all’art. 11 del Codice una interpretazione eccessivamente restrittiva, è stata confermata anche dal Tar Brescia con Ordinanza n. 89/2024, secondo la quale “occorre evitare di introdurre freni non necessari alla concorrenza e al principio di massima partecipazione. Si ritiene pertanto che un’impresa possa mantenere il proprio CCNL anche in una gara che in base alle ripartizioni della contrattazione collettiva si collocherebbe in un altro settore economico, purché, secondo una valutazione complessiva (giuridica ed economica), il trattamento dei lavoratori impiegati in tale gara non sia deteriore rispetto a quello dei CCNL individuati dalla stazione appaltante, e vi sia corrispondenza tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell’appalto”.

Inoltre, la citata ordinanza indica che “non è necessaria la parità di retribuzione, in quanto tale condizione sarebbe equivalente all’imposizione di un CCNL unico”.

Emerge dunque la difficoltà di attribuire un significato a concetti non definiti puntualmente dalla norma, come quello di “tutele equivalenti”.

A tale incertezza ha cercato di porre rimedio l’ANAC, che nella relazione illustrativa al Bando tipo n. 1 (delibera n. 309/2023) ha fissato i parametri per effettuare il raffronto tra le tutele previste nei diversi contratti, ritenendo che l’equivalenza possa sussistere in caso di scostamenti limitati a due dei dodici parametri indicati. Ma giustamente si potrebbe dubitare del valore vincolante di tale atto, anche tenuto conto che l’ANAC è una autorità amministrativa, priva di potere legislativo.

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