Demolizione e ricostruzione di edifici crollati: la ristrutturazione edilizia non ha limiti temporali
Il Consiglio di Stato rilancia il dibattito sulla qualificazione dell’intervento di demolizione e ricostruzione alla luce della definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nel d.P.R. n. 380/2001
Conclusioni
Il nuovo intervento del Consiglio di Stato ci restituisce un principio tanto semplice quanto spesso dimenticato: la ristrutturazione edilizia, anche nella forma della demolizione e ricostruzione, è e resta uno strumento di recupero dell’esistente, non un alibi per nuove costruzioni mascherate né una trappola normativa per chi tenta un intervento legittimo.
Il punto decisivo non è il momento in cui l’edificio è crollato, ma la possibilità di accertarne con chiarezza la preesistente consistenza. È una linea interpretativa coerente con la finalità conservativa dell’art. 3 del Testo Unico Edilizia, ma che continua a scontrarsi con un impianto normativo caotico, stratificato e talvolta schizofrenico.
È qui che la giurisprudenza si trova – ancora una volta – a svolgere un lavoro che dovrebbe spettare al legislatore: ricostruire coerenza, garantire certezza, offrire strumenti applicabili a chi opera quotidianamente sul campo. Ma per quanto puntuale sia questa pronuncia, non possiamo affidarci sempre e solo ai tribunali per dare senso e direzione alla disciplina edilizia.
Il tempo delle modifiche frammentarie è finito. Serve una riforma radicale del d.P.R. n. 380/2001, capace di riscrivere le categorie degli interventi edilizi con linguaggio chiaro, sistematico e aderente alle reali esigenze di rigenerazione urbana e sostenibilità. Una riforma che parli non solo ai giuristi, ma anche ai tecnici, ai cittadini e alle pubbliche amministrazioni.
Continuare a ignorare questa urgenza significa alimentare conflitti, generare paralisi istruttorie e lasciare tecnici e amministrazioni nel limbo dell’incertezza operativa. La giustizia amministrativa, come in questo caso, può indicare la direzione, ma non può e non deve sostituirsi alla responsabilità del legislatore.
È tempo di cambiare metodo. Per questo rilancio una proposta concreta: la riforma del Testo Unico Edilizia sia affidata a una commissione mista, composta da tecnici, giuristi, operatori del settore e rappresentanti delle imprese, ma coordinata dal Consiglio di Stato, così come già avvenuto, con risultati apprezzabili, per la normativa sui contratti pubblici.
Solo una sinergia tra competenza giuridica, conoscenza tecnica e consapevolezza operativa può restituire al settore edilizio una norma chiara, applicabile e in linea con le trasformazioni del patrimonio costruito. E, soprattutto, una norma che non costringa la giurisprudenza a dover supplire continuamente a una politica assente o disattenta.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 3 aprile 2025, n. 2857IL NOTIZIOMETRO