Difformità edilizie totali e parziali: il Consiglio di Stato chiarisce la differenza

La sentenza del Consiglio di Stato chiarisce la differenza che esiste tra difformità edilizie totali e parziali, colmando un vuoto del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia)

di Gianluca Oreto - 18/10/2024

Il quadro normativo di riferimento

Preliminarmente il Consiglio di Stato ricostruisce il quadro normativo edilizio, partendo dalla Legge urbanistica n. 1150 del 1942, sia nel suo testo originario che in quello innovato dalla Legge n. 765 del 1967 (Legge Ponte)

In particolare, la Legge n. 1150/1942 ha sempre previsto che il committente titolare della licenza edilizia, il direttore dei lavori (quest’ultimo a partire dalla disciplina introdotta nel 1967), nonché l’assuntore dei lavori fossero «responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza di costruzione».

A garanzia del rispetto di tale disciplina, il podestà, prima, e il sindaco, poi, avevano il compito di vigilare sull’attività edilizia e dovevano ordinare l’immediata sospensione dei lavori con riserva dei provvedimenti che risultassero necessari per la modifica delle costruzioni o per la rimessa in pristino.

Con la legge n. 10 del 1977 (Legge Bucalossi), il regime sanzionatorio è stato semplicemente graduato secondo uno schema generale tuttora vigente:

  • le opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità dalla stessa dovevano essere demolite a spese del proprietario o del costruttore;
  • le opere realizzate in parziale difformità dovevano essere demolite a spese del concessionario, ma, ove non potessero essere rimosse senza pregiudizio per le parti conformi, il concessionario restava assoggettato a una sanzione amministrativa pecuniaria.

A tale schema è stato successivamente aggiunta la differenziazione tra variazioni essenziali e non essenziali, introdotta dagli artt. 7 e 8 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), di seguito trasfusi negli artt. 31 e 32 d.P.R. n. 380 del 2001.

La Corte Costituzionale (sentenza n. 217/2022) ha chiarito che “le variazioni essenziali vengono assoggettate al più severo regime sanzionatorio proprio della totale difformità, mentre quelle non essenziali restano ascritte al vizio della parziale difformità, correlato alle sanzioni stabilite, all’epoca, dall’art. 12 della legge n. 47 del 1985 e, di seguito, dall’art. 34 t.u. edilizia».

Tali differenze non sfuggono neanche al regime introdotto dal D.L. n. 133/2014 che ha inserito il comma 2-bis nell’art. 22 del TUE, in cui viene contemplata la possibilità di presentare una segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) in caso di varianti al permesso di costruire che non costituiscano variazioni essenziali, se realizzate in corso di esecuzione dei lavori.

La legittimità delle opere in parola sussiste, pertanto, soltanto a condizione che la SCIA inerente alle varianti al permesso di costruire sia comunicata a fine lavori, tramite attestazione del professionista. Di conseguenza, la citata disciplina non può risolvere il problema delle variazioni non essenziali che non soddisfino tale condizione, le quali continueranno a costituire una parziale difformità ai sensi dell’art. 34 t.u. edilizia, salva l’eventuale sanatoria di cui all’art. 36 t.u. edilizia, ove ne ricorrano i presupposti.

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