Equo compenso e Codice dei contratti: nuovo intervento del TAR

Il TAR sui rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla Legge n. 49/2023 e le procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura

di Gianluca Oreto - 28/07/2024

I diversi orientamenti: equo compenso si

Sul rapporto tra equo compenso e codice dei contratti, i giudici calabri hanno ammesso l’esistenza di due diversi orientamenti:

  • da una parte, l’assenza di antinomia tra la Legge n. 49/2023 e il D.Lgs. n. 36/2023, con conseguente piena operatività delle previsioni dettate dalla prima anche nel campo dell’evidenza pubblica;
  • dall’altra parte, l’incompatibilità tra i due sistemi normativi, con esclusione dell’applicazione delle regole dell’equo compenso alle procedure di gara regolate dal codice dei contratti pubblici.

Secondo il primo orientamento, l’applicazione dell’equo compenso deriverebbe direttamente dall’art. 8 del Codice dei contratti che, oltre a sancirsi il divieto, salvo casi eccezionali, di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito, ha imposto, in via generale, alla pubblica amministrazione di “garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”.

Da questo orientamento si è, poi, arrivati all’applicabilità operativa della disciplina dell’equo compenso sulle gare di affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura che non precluderebbe affatto l’utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma limiterebbe il ribasso alla voce “spese e oneri accessori” lasciando intatta la voce “compenso” (componenti calcolate sulla base del DM 17/06/2016, c.d. Decreto Parametri).

Tale conclusione (ha ammesso il citato TAR Veneto), oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consentirebbe, sotto un diverso profilo, di escludere che la legge n. 49/2023 produca effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea, rappresentando, piuttosto, il divieto di presentazione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo costituita dai “compensi” una tutela per i professionisti, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto “permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto”.

D’altra parte occorre ricordare quanto previsto all’art. 3, comma 6, della Legge n. 49/2023 secondo la quale “Il tribunale procede alla ridetermina zione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate”. Una disposizione che il TAR Calabria definisce “pericolosa” perché il professionista concorrente potrebbe essere tentato di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta inferiore ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale. Ciò che comporterebbe, peraltro, l’aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell’offerta anche in sede di esecuzione del contratto.

La nullità relativa o di protezione sarebbe da ritenersi giustificata proprio in relazione ai casi in cui il professionista sia sostanzialmente tenuto a subire la previsione contraria all’equo compenso, e ciò anche eventualmente quando ad imporre la riduzione al di sotto dei minimi sia la P.A. Diversamente, ove la violazione della normativa sull’equo compenso non sia imposta dalla P.A., ma dipenda da una volontaria scelta dell’operatore economico al fine di ottenere l’aggiudicazione superando gli altri concorrenti, la natura “relativa” della nullità non potrebbe rivestire alcun rilievo, l’imperatività della normativa medesima imponendo, al contrario, un effetto escludente delle offerte con la stessa in contrasto.

I diversi orientamenti: equo compenso no

L’altro orientamento si poggia sulla delibera ANAC n. 101/2024 (sostenuta dal TAR Campania) e secondo la quale la predicata eterointegrazione della disciplina di gara con quella sull’equo compenso professionale sconterebbe “… i limiti intrinseci ed estrinseci di compatibilità o sovrapponibilità dei due impianti normativi (d.lgs. n. 36/2023 e l. n. 49/2023), che incidono su campi di materie e rispondono a finalità tra loro non perfettamente coincidenti ed omogenee”.

Secondo questo orientamento, il regime dell’equo compenso non derogherebbe, bensì integrerebbe “il sistema dei contratti pubblici, senza frustrarne la sostanza proconcorrenziale di derivazione euro-unitaria (artt. 49, 56, 101 TFUE, 15 della dir. 2006/123/CE), e, quindi, senza elidere in radice la praticabilità del ribasso sui corrispettivi professionali, la cui determinazione non è da intendersi rigidamente vincolata a immodificabili parametri tabellari, ma la cui congruità (in termini di equilibrio sinallagmatico) rimane, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica all’uopo codificato, quale, appunto, quello dell’anomalia dell’offerta con riferimento al ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione”. In altri termini, il Codice dei contratti pubblici, tramite il subprocedimento di verifica di anomalia delle offerte, appresterebbe “meccanismi idonei ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi”.

Oltretutto, secondi questa tesi, la Legge n. 49/2023, successiva al Codice dei contratti, non avrebbe derogato espressamente allo stesso, come richiesto dall’art. 227 del D.Lgs. n. 36/2023, secondo il quale:

“Ogni intervento normativo incidente sulle disposizioni del codice e dei suoi allegati, o sulle materie dagli stessi disciplinate, è attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in essi contenute”.

Sempre secondo questo orientamento, la previsione di tariffe minime non soggette a ribasso rischierebbe “di porsi in contrasto con il diritto euro-unitario, che impone di tutelare la concorrenza. Come chiarito dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 4 luglio 2019, causa C-377/2017, infatti, in materia di compensi professionali, l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi”.

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