La guerra e il Piano Fanfani, il Virus e il Superbonus: 2 modelli a confronto
Valutazioni tecniche e considerazioni politiche sull’attuazione del Superbonus e sulle ripercussioni economiche e sociali
Noi italiani, “Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove andiamo?” Prendendo spunto dal testamento spirituale del pittore Francese Paul Gauguin, rappresentato dal suo celebre dipinto (D’où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous?), cercheremo di analizzare il nostro “Giardino dell’Eden”, l’Italia, la “crisi d’identità” del suo popolo e la funzione della propria esistenza, ripercorrendo il ciclo della nostra storia recente, per essere pronti alle nuove sfide globali e a ciò che verrà. L’analisi viene sviluppata comparando due epoche, quella immediatamente successiva al secondo conflitto mondiale, con le proprie necessità di ricostruzione fisica e morale del Paese, con l’epoca contemporanea, nella quale tali necessità tornano ad essere nuovamente gli elementi principali di discussione politica. L’ampiezza cronologica delle tematiche trattate, nonché l’esigenza di non trascurare gli elementi salienti e di comparazione tra le due diverse epoche, ha comportato un’espansione del testo oltre la “misura” comunemente tollerabile dagli attuali modelli di comunicazione. Si consiglia comunque di leggere fino in fondo queste poche pagine, a mo’ di “libro”, per cogliere pienamente il senso di tali riflessioni.
Da dove veniamo?
Correva l’anno 1949, il nostro Paese usciva flagellato dal secondo conflitto mondiale; un uomo illuminato cercò una via d’uscita dalle condizioni di sofferenza e di povertà che imperversavano ovunque, nei luoghi remoti della speranza tradita, nelle aree urbane ridotte a ruderi della memoria. Quell’uomo si chiamava Amintore Fanfani; Amintore, un nome singolare, non certo comune, come singolare e originale fu il suo lucido pensiero, nel ruolo che gli era stato affidato nella politica dell’epoca. Dal pensiero si giunse subito all’azione; senza indugio e con determinazione pensò al suo popolo, a quegli uomini che lo avevano eletto ai vertici della politica per cercare una via d’uscita da un comune destino di sofferenza e di miseria.
Già dal 1942 Fanfani - che allora era un giovane trentenne, professore di economia - cominciò ad interessarsi alle questioni sociali; in un suo scritto, “Colloqui su poveri”, analizzò attentamente gli aspetti socio-economici che caratterizzavano il degrado e la povertà, imputandone la causa primaria alle condizioni abitative. Fanfani analizzò il tutto anche in chiave di solidarietà e di carità cristiana, quali componenti essenziali di una società moderna. Dalla teoria, Fanfani, passò ai fatti; elaborò un Piano attuativo ispirato alle teorie keynesiane e ai principi di solidarietà sociale. Il progetto di legge, “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori”, già chiaro nella sintesi del titolo e nel suo contenuto, fu approvato dal Parlamento italiano con la Legge 28 febbraio 1949 n. 43; il progetto di legge fu avviato, per iniziativa di Fanfani, allora ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, nel luglio 1948, a pochi anni dalla fine del secondo conflitto mondiale. L’intento principale di Fanfani fu quello di promuovere lo sviluppo del settore edilizio, da sempre ritenuto l’ambito principale per ridurre la disoccupazione e per favorire la crescita economica.
Il “Piano Fanfani”, denominato anche “Piano INA-Casa”, prevedeva la realizzazione di alloggi economici mediante un sistema misto di finanziamento, da parte dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti. In particolare, anche i lavoratori partecipavano virtuosamente al finanziamento mediante una trattenuta al salario mensile, l’equivalente di “Una sigaretta al giorno”, come recitava la propaganda dell’epoca. I contributi di finanziamento venivano versati all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), che fu l’Ente prescelto per l’attuazione del Piano, in quanto presente in tutto il territorio nazionale e in possesso delle necessarie attrezzature e competenze. La struttura tecnica ed amministrativa era snella ed essenziale, concepita ad hoc per coordinare le attività di progettazione e di costruzione, ed era rappresentata da personale altamente qualificato.
L’emergenza abitativa era stata già affrontata precedentemente all’attuazione del Piano Fanfani, mediante i finanziamenti dell’European Recovery Program (ERP), comunemente definito “Piano Marshall”; si trattava di fondi, messi a disposizione dal governo americano per motivazioni di ordine geo-politico, che furono impiegati anche per la costruzione degli alloggi nelle zone del nostro Paese maggiormente colpite dagli eventi bellici e dalla povertà. Una parte dei fondi del Piano Marshall, per deliberata scelta del governo italiano, e senza un’esplicita autorizzazione del governo americano, furono successivamente impiegati anche per l’attuazione del Piano Fanfani. Infatti, il 5 febbraio 1949 venne pubblicato il cosiddetto “Rapporto Hoffman”, che riguardava l’impiego delle risorse del Piano Marshall; in tale rapporto, in particolare, vennero espresse dure critiche sull’impiego degli aiuti americani a sostegno del Piano Fanfani; malgrado queste critiche, il governo italiano andò avanti nell’impiego dei fondi americani, ritenendo corretta la sua politica di ricostruzione e di rilancio della nostra economia.
Osservando la nostra attuale compagine politica e dirigenziale, ancora oggi sembra un miracolo quello ideato e messo in atto da Fanfani: finanziamento delle opere, elaborazione di linee guida specifiche per le attività di pianificazione urbanistica e di progettazione, redazione ed approvazione dei progetti, indizione delle gare di appalto, direzione e liquidazione dei lavori, collaudi e assegnazione degli alloggi, tutto questo con il controllo passo-passo, con un apparato tecnico-amministrativo snello ed efficiente, senza troppi “accartocciamenti burocratici”.
Il Piano Fanfani, nella prima fase di attuazione, dal 1949 al 1956, prevedeva la realizzazione di 1.200.000 vani in sette anni. Successivamente la legge fu rinnovata, e ne seguì un secondo periodo di attuazione di ulteriori sette anni, dal 1956 al 1963. L’architetto e urbanista Giuseppe Samonà (1898-1983) definì il piano Fanfani come una «grandiosa macchina per l’abitazione». La “macchina” arrivò a produrre 2.800 vani a settimana, fornendo settimanalmente una casa a circa 560 famiglie. Dal 1949 fino al 1962 erano stati gestiti circa 20.000 cantieri in tutto il Paese, fornendo un posto di lavoro ogni anno a circa 40.000 lavoratori del comparto edilizio. Nei quattordici anni di attuazione del Piano furono migliorate le condizioni abitative di oltre 350.000 famiglie, molte delle quali si spostarono da alloggi di fortuna (cantine, baracche, sottoscala, ecc.) nelle moderne e confortevoli case.
Il Piano ha dato origine alla cosiddetta “città pubblica”, riconoscibile oggi in quelle che erano le periferie di allora, ex periferie che rappresentano realtà oramai consolidate ed inglobate nel tessuto urbano delle nostre città; sono, per taluni aspetti, ancora oggi i quartieri maggiormente vivibili, con abitazioni concepite per ottenere una bassa densità di popolazione, aree verdi e visuali libere, tutto ciò a salvaguardia della “salute fisica e morale” degli abitanti. A tale scopo furono impiegati i migliori pensatori ed architetti dell’epoca, tra i quali il celebre architetto Adalberto Libera, che diresse l’Ufficio di progettazione INA-Casa ed elaborò i primi piani del Programma. Furono impiegati architetti, urbanisti, ingegneri, geometri ed altre figure professionali, oltre ai migliori professionisti dell’epoca, come per esempio Mario Ridolfi, Carlo Aymonino, Franco Albini, Ignazio Gardella e molti altri.
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