Pianificazione urbanistica e procedimento espropriativo: evoluzione, criticità e prospettive future
La relazione del Presidente di sezione del Consiglio di Stato sul rapporto tra pianificazione urbanistica e procedimento espropriativo
Evoluzione della normativa sui vincoli espropriativi
La disciplina urbanistica e quella espropriativa si sviluppano insieme con l’unificazione italiana. La legge sull’unificazione amministrativa del 1865 stabilì i primi regolamenti edilizi comunali, finalizzati a migliorare le condizioni igieniche e infrastrutturali dei centri abitati.
Con la Legge n. 2359/1865 si introdusse il concetto di pubblica utilità, che legittimava l’esproprio delle proprietà necessarie alla realizzazione di opere pubbliche. Tuttavia, si trattava di una fase embrionale, priva di una vera pianificazione territoriale.
Un passaggio cruciale si ebbe con la nota Legge Urbanistica n. 1150/1942, che rese obbligatoria la pianificazione generale attraverso i piani regolatori generali (PRG). Questi strumenti consentivano di:
- individuare aree da destinare a opere pubbliche, con imposizione di vincoli espropriativi;
- demandare ai piani attuativi il compito di avviare le procedure di esproprio.
La dichiarazione di pubblica utilità, necessaria per avviare il procedimento ablatorio, era quindi subordinata all’approvazione di piani di dettaglio. Questo sistema segnò un primo tentativo di razionalizzazione, presentando però alcune criticità.
Negli anni ’60, la Corte Costituzionale intervenne per limitare la durata indeterminata dei vincoli espropriativi previsti nei PRG, stabilendo:
- la necessità di prevedere un limite temporale (poi fissato in cinque anni dalla Legge n. 1187/1968);
- l’obbligo di indennizzo per i proprietari in caso di reiterazione dei vincoli.
Il d.P.R. n. 327/2001 consolidò la normativa espropriativa con un Testo Unico, introducendo strumenti semplificati per collegare le procedure di approvazione urbanistica ed espropriativa.
Documenti Allegati
RelazioneIL NOTIZIOMETRO