Servizi tecnici: da equo compenso a equo ribasso
Il Consiglio di Stato prende posizione sulla ribassabilità dei compensi professionali e non rileva alcuna antinomia tra equo compenso e disciplina dei contratti pubblici
Equo compenso: le norme di riferimento
Secondo quando previsto dalla legge n. 49/2023:
- l’art. 1 scolpisce la nozione di “compenso equo” nella “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente: […] per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”;
- l’art. 3 delimita la nozione complementare di “compenso non equo e proporzionato all’opera prestata” o iniquo nella pattuizione di un compenso non “equo e proporzionato all'opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d'opera” e precisa che “sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale”.
Ne deriva che:
- il compenso equo di cui all’art. 1 si àncora, in termini di conformità, ai “compensi previsti dai decreti ministeriali adottati” ai sensi dell’art. 9 del D.L. 1/2012;
- il compenso è invece iniquo – ossia “non…equo e proporzionato all’opera prestata” se risulta inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale.
Per il Consiglio, i due meccanismi di parametrizzazione restano normativamente distinti, tanto che il rinvio all’art. 9 D.L. 1/2012 richiama, rispettivamente, un decreto del Ministro vigilante per la determinazione dei parametri di liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale (il d.m. n. 140/2012), da impiegarsi anche ai fini dell’acclaramento del compenso iniquo, e un decreto interministeriale (del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'architettura e all'ingegneria (nella specie, D.M. 17 giugno 2016).
Pur condividendo lo stesso meccanismo algoritmico di calcolo secondo la comune formula moltiplicatoria CP=V×G×Q×P, il d.m. n. 140/2012 stabilisce espressamente per le professioni dell’area tecnica un range di flessibilità in ragione della complessità della prestazione (espressa dal parametro G) che tenga conto della natura dell'opera, pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione, di tal ché l'organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60% rispetto a quello altrimenti liquidabile (art. 36).
Questo meccanismo rientra a pieno titolo nei “parametri per la liquidazione dei compensi” richiamati dall’art. 3 l. n. 49/2023 e definisce una soglia minima (e massima) del compenso del professionista, al di sotto del quale scatta la qualificazione normativa di “compenso non equo” passibile di nullità di protezione.
Di contro, il D.M. 17 giugno 2016 non contempla alcun meccanismo di flessibilità limitandosi a recepire la formula moltiplicatoria del d.m. n. 140/2012: questo perché il decreto interministeriale mira a definire i corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione utilizzabili dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell'importo dell'affidamento ai sensi dell’art. 24, co. 8 d.lgs. n. 50/2016. Tale impianto è stato poi ripreso e in parte riattualizzato, quanto alle aliquote, dal nuovo codice dei contratti pubblici all’art.41, co. 15 e allegato I.13 d.lgs. n. 36/2023.
In definitiva, i due meccanismi previsti dal d.m. n. 140/2012 e dal D.M. 17 giugno 2016, pur recando un nucleo comune (la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono quanto a:
- natura della fonte normativa (si tratta di due regolamenti ministeriali ben distinti, l’uno ministeriale, l’altro interministeriale);
- scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi equi, l’altro punta alla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara);
- struttura (l’una si contraddistingue per un range di flessibilità, mentre l’altro definisce un importo fisso).
La prima fonte individua il minimum corrispettivo inderogabile (il compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua il corrispettivo equo da porre a base di gara.
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