Superbonus e donazione: si paga la plusvalenza in caso di vendita?
L’esperto risponde sulla necessità di pagare la plusvalenza nel caso di vendita di un immobile ricevuto in donazione che ha fruito del superbonus
La risposta al caso specifico
Premesso che la gentile lettrice è proprietaria di un immobile non adibito ad abitazione principale e che è stato ricevuto in donazione, nonostante si trovi in una situazione di non facile individuazione dei valori da prendere in considerazione, c’è per lei una buona notizia: le spese sostenute con il superbonus sono considerate costi in deduzione dal prezzo di partenza che, nel caso specifico, è il costo di costruzione poiché, nel caso in cui gli immobili siano stati acquisiti per donazione, si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante. Il motivo per cui i costi del superbonus sono considerati deducibili è che per essi è stata applicata l’aliquota del 90%. Stessa sorte per le spese detraibili al 50%.
In conclusione, in applicazione della lettera b-bis) del comma 1 articolo 67 TUIR, la donataria dovrà calcolare la base imponibile su cui applicare la plusvalenza sul prezzo di vendita poiché è trascorso ad oggi solo un anno dalla conclusione dei lavori. Pertanto, il costo di costruzione (presumibilmente, nel caso specifico, determinato a seguito di perizia tecnica) sarà incrementato dell’indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, delle spese di manutenzione straordinaria detratte al 50% e delle spese sostenute per gli interventi realizzati con il superbonus al 90%). La differenza tra il prezzo di vendita e i costi deducibili determinerà la base imponibile su cui calcolare la plusvalenza.
Nella risposta ad interpello n. 204 del 24 marzo 2021 l’Agenzia delle Entrate, in ordine alle modalità di calcolo della plusvalenza ai sensi dell’articolo 68 del TUIR, ha richiamato la sentenza n. 16538 del 22 giugno 2018 con cui la Corte di Cassazione, facendo riferimento a precedenti pronunce, ha affermato che "premesso che il prezzo di acquisto od il costo di costruzione deve essere incrementato dei soli costi inerenti al bene, (...) sono a tal fine rilevanti le spese incrementative. Per spese incrementative, in giurisprudenza, s'intendono "quelle spese che determinano un aumento della consistenza economica del bene o che incidono sul suo valore, nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo". Non possono, quindi, essere incluse tra le spese incrementative quelle che non apportano maggior consistenza o maggior valore all'immobile, perché attengono solo alla manutenzione e/o alla buona gestione del bene". Sulla base di tale principio, la Corte di Cassazione conclude affermando che "sono costi inerenti al bene, in quanto tali deducibili ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile, solo quelli che attengono al costo di acquisto (spese notarili, di mediazione, imposte di registro, ipotecarie e catastali, cioè i costi inerenti al prezzo di acquisto (...) o che si risolvono in aumento di valore del bene, perdurante al momento in cui si verifica il presupposto impositivo (ad esempio, le spese sostenute per liberare l'immobile da oneri, servitù ed altri vincoli, oppure le spese che abbiano determinato un aumento della consistenza economica del bene). D'altro canto, non rientrano negli oneri deducibili le spese che attengono alla normale gestione del bene e che non ne abbiano determinato un aumento di valore, perdurante al momento in cui viene realizzata l'operazione imponibile. L'onere della prova della deducibilità del costo grava sul contribuente, che deve dimostrare, non solo di aver sostenuto le spese, ma anche la loro inerenza ed il carattere incrementativo del valore del bene".
A cura di Dott. Luciano
Ficarelli
Dottore Commercialista
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Esperto in bonus edilizi
Abilitato al rilascio del Visto di Conformità
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