Visto di conformità: alla Corte Costituzionale la questione sui soggetti abilitati

Secondo il Consiglio di Stato l'esclusione dei tributaristi dal novero dei soggetti abilitati è norma che limita la concorrenza e l'iniziativa economica

di Redazione tecnica - 03/05/2024

Tributaristi e visto di conformità: i dubbi del Consiglio di Stato

Non emerge una plausibile giustificazione, secondo Palazzo Spada, per la quale i tributaristi possano legittimamente essere esclusi dal novero dei professionisti abilitati al visto di conformità: in primis quello c.d. leggero, che come in precedenza esposto consiste in un controllo di carattere formale sulla corrispondenza della documentazione utilizzata per le dichiarazioni fiscali con i dati in essa esposto;

Peraltro anche quello “pesante”, che nel suo estendersi all’ulteriore profilo di ordine sostanziale relativo ai dati contenuti nelle scritture contabili dell’impresa contribuente afferisce comunque all’attività professionale liberalizzata di consulenza e assistenza fiscale che il tributarista è quindi abilitato a svolgere, fino alla predisposizione e all’invio all’amministrazione finanziaria le dichiarazioni dei redditi e Iva;

Per quanto riguarda il distinto profilo dell’affidabilità insito nel rilascio del visto di conformità sulle medesime dichiarazioni,  l’unica ragione ostativa da questa addotta, ed emergente dal tenore complessivo delle disposizioni normative censurate in questo giudizio, è riferibile al principio di preferenza per le professioni c.d. ordinistiche.

In questa prospettiva, l’organizzazione della categoria professionale in un ente esponenziale, ordine o collegio, istituito per legge, costituirebbe l’elemento ragionevolmente fondante la riserva di attività istituita dall’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, attraverso il richiamo all’elenco di cui al più volte citato art. 3, comma 3, lett. a) e b), del DPR 22 luglio 1998, n. 322.

Si tratta di un argomento che per il Consiglio si espone nondimeno a rilievi critici sul piano della ragionevolezza e della non discriminazione, in relazione all’evoluzione dell’ordinamento giuridico, che con specifico riguardo alle professioni non organizzate in ordini o collegi ha trovato un formale riconoscimento delle stesse con la legge n. 4/2013 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate).

Nel sancire il principio del libero esercizio delle professioni c.d. non ordinistiche, la legge 14 gennaio 2013, n. 4, ha infatti introdotto elementi di assimilazione tra professioni organizzate in ordini o collegi e professioni che tali non sono, e che si fondano sul libero esercizio di un’«attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale».

L’obiettivo perseguito dalla legge ha dunque riflessi sul profilo dell’affidabilità professionale che deve presiedere all’apposizione del visto di conformità sulle dichiarazioni presentate all’amministrazione finanziaria. Esso vale infatti ad equiparare alle professioni ordinistiche sotto il profilo della garanzia di esercizio della professione sulla base dei requisiti di capacità e correttezza, quelle per il cui esercizio non è necessaria l’iscrizione in albi o elenchi tenuti dall’apposito ente esponenziale della categoria;

In base al riconoscimento delle professioni non organizzate in ordini o collegi di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4, la funzione di controllo sul rispetto della deontologia professionale risulta adeguatamente perseguibile attraverso strumenti privatistici, tanto più quando questi siano a loro volta inquadrati in un sistema pubblicistico di vigilanza ministeriale.

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